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Europee 2024, highlights delle proposte per i giovani
L’8 e il 9 giugno saremo chiamati alle urne per scegliere i nostri rappresentanti al parlamento europeo, ma chi votare? come si vota? perchè votare?. In questo articolo proverò a riassumere le proposte elettorali fatte dai diversi partiti nell’ambito riguardante i giovani. Ma prima alcuni tecnicismi elettorali, giusto per non farsi annullare la scheda. Come e quando si vota. Le elezioni come detto in precedenza si terranno l’8 e il 9 giugno, i seggi saranno aperti dalle 15 alle 23 di sabato 8 e dalle 7 alle 23 di domenica 9. Questa tornata elettorale elegge 76 membri del parlamento europeo. Per votare ovviamente serviranno tessera elettorale e documento d’identità, si voterà col sistema proporzionale, cioè l’ assegnazione dei seggi avviene in modo da assicurare alle diverse liste un numero di seggi proporzionale al numero di voti. Per votare servirà tracciare una x sul simbolo della lista scelta, si potranno scrivere fino a tre preferenze ovviamente della stessa lista (non c’è il voto disgiunto), se non vengono indicate preferenze il voto NON andrà al capolista ma solo alla lista, importante è ricordare che le preferenze non possono essere tutte dello stesso sesso, dovranno essere scelti due donne e un uomo o due uomini e una donna. I Partiti e le Proposte per i giovani Fratelli d’Italia: LAVORO: incentivare le aziende che assumono giovani e alimentare l’imprenditoria giovanile. ISTRUZIONE: incrementare le risorse per la formazione scuola-lavoro e la riqualificazione professionale. Lega: nel programma elettorale della Lega non si parla di giovani e della loro formazione. Forza Italia: LAVORO: un piano di investimenti per l’occupazione europea di qualità, in contrasto alla disoccupazione femminile e giovanile. LAVORO: migliorare l’efficienza dei nostri sistemi sanitari con la formazione di giovani medici e infermieri. ISTRUZIONE: più sostegno al programma Erasmus+. Stati Uniti d’Europa: LAVORO: promozione dell’imprenditoria giovanile sul territorio UE con l’accesso agli investimenti pubblici europei. ISTRUZIONE: istituzione di un servizio civile culturale per permettere di effettuare esperienze lavorative e di studio in UE, ISTRUZIONE: Fondo unico europeo per la mobilità universitaria cioè un sostegno economico che aiuti i giovani a iscriversi a qualsiasi università nel territorio UE ISTRUZIONE: riconoscimento dei titoli di studio tra i Paesi UE. Azione: LAVORO: aumentare la quota di finanziamenti destinati ai giovani agricoltori in modo da favorire un ricambio generazionale in ambito agricolo ISTRUZIONE: promuovere programmi di scambio e borse di studio per incentivare la mobilità degli studenti ISTRUZIONE: sistema di welfare che comprenda il sussidio di disoccupazione europeo e un Erasmus+ più accessibile. Movimento 5 stelle: LAVORO: salario minimo europeo LAVORO: regolamentare la settimana corta di 32 ore settimanali LAVORO: reddito di cittadinanza europeo ISTRUZIONE: fondi europei per migliorare gli edifici scolastici, riduzione del numero medio di studenti per classe ISTRUZIONE: aumentare finanziamenti del programma Erasmus+ ISTRUZIONE: riconoscere i titoli di studio a livello europeo SOCIALE: migliorare l’accesso ai servizi di salute mentale per i giovani. Partito Democratico: LAVORO: abolire gli stage gratuiti in tutta Europa, LAVORO: introduzione di un salario minimo a 9 euro lordi all’ora, LAVORO: sistema di welfare europeo per prevenire la disoccupazione di lungo periodo. ISTRUZIONE: investire nel programma Erasmus rendendolo accessibile agli studenti meno avvantaggiati ISTRUZIONE: curriculum comune per introdurre corsi di educazione civica europea ISTRUZIONE: riconoscimento dei corsi di studio scolastici e universitari in Europa. Alleanza Verdi e Sinistra: LAVORO: approvare una direttiva per un reddito minimo europeo LAVORO: investire nel Just Transition Fund per creare nuovi posti di lavoro per i giovani ISTRUZIONE: difendere un modello universitario diverso e su scala europea aumentando borse di studio per la mobilità degli studenti.
Democrazia sotto l’occhio del Deepfake: Il Ruolo dell’IA nelle Elezioni
Stati Uniti, Unione Europea, ma anche Indonesia, Iran, Russia e Taiwan: cos’hanno in comune queste nazioni? In tutte si svolgeranno delle elezioni nel 2024. Alcuni le chiamano «Mega elezioni»1, si stima infatti che ben 4 miliardi di persone saranno chiamate al voto per un totale del 51% della popolazione del pianeta. Potrebbe suscitare curiosità il legame tra l’Intelligenza Artificiale e le elezioni, ma considerando che già nel 2016 ci sono stati casi in cui i social media sono stati accusati di aver influenzato radicalmente gli utenti2, con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale, il potenziale di intervenire nel processo elettorale si è notevolmente ampliato. Ciò non per forza con risvolti negativi; infatti, in molti casi può essere utilizzata per aiutare gli elettori a comprendere e confrontare le posizioni dei diversi candidati su varie questioni. Inoltre, può assistere i candidati nell’analisi dei desideri degli elettori e nella creazione di programmi che creino un rapporto diretto con l’elettore.3 Come nota Schneier nell’articolo AI and US Election Rules ci sono usi legittimi più o meno nobili dell’IA, come ad esempio la creazione di satira su candidati avversari, che poco si discostano dai vecchi sistemi di photoshop, o di chatbot in grado di comunicare personalmente con l’elettore, mentre altri sono più complessi da distinguere e impongono l’assunzione di maggiori tutele. Attualmente, grande preoccupazione riguarda i deepfake: l’avanzamento delle soluzioni di Intelligenza Artificiale generativa rende sempre più semplice la creazione iperrealistiche di foto, video e registrazioni audio falsi, con l’obiettivo di danneggiare l’immagine pubblica di un candidato, sostenere teorie o influenzare negativamente i voti. Il Center for countering digital hate (Ccdh )4 ha evidenziato come i principali generatori di immagini con Intelligenza Artificiale possano creare elementi utili per destare disinformazione sulle elezioni nel 41% dei casi, inclusi immagini che potrebbero supportare false affermazioni su candidati o frodi elettorali. I governi non sono sordi a queste problematiche e una dimostrazione viene dalle linee guida della Commissione Europea del 26.03.20245 nelle quali si invitano le aziende del settore ad imporre etichette sui video fake per renderli riconoscibili e ad una maggiore trasparenza sui messaggi elettorali diffusi dagli influencer. Pur non essendo questi obblighi ma solo raccomandazioni contenute in linee guida, si instaurano nel panorama del nuovo Digital service act (DSA) che impone alle piattaforme con più di 45 milioni di utenti nell’UE di prevenire e contrastare la diffusione di contenuti illegali e dannosi, includendo tra questi, quello che potrebbe «minare l’integrità delle elezioni»6 e seguono di pochi giorni la richiesta formale di informazioni in merito alle misure adottate per mitigare i rischi associati all’IA generativa, inclusa la diffusione di deepfake e le manipolazioni che potrebbero ingannare gli elettori, della Commissione a Bing, Google Search, Facebook, Instagram, Snapchat, TikTok, YouTube e X. Inoltre,significativo è l’impegno delle grandi società tecnologiche, tra cui spiccano Google, Microsoft e OpenAI, che proprio in previsione dell’eccezionalità dell’anno hanno stretto un accordo, noto come Tech Accord to Combat against Deceptive Use of AI in 2024 Elections, con l’obiettivo «di impostare le aspettative per il modo in cui i firmatari gestiranno i rischi derivanti dall’ AI Election»7 Come le società leader stesse dichiarano «Siamo impegnati a fare la nostra parte come società di tecnologia, pur riconoscendo che l’uso ingannevole di AI non è solo una sfida tecnica, ma una questione politica, sociale ed etica e spero che gli altri si impegnino in modo simile all’azione in tutta la società.»8 L’accordo firmato rappresenta un impegno volontario per promuovere sette obiettivi principali nel contesto della gestione dei contenuti elettorali ingannevoli generati artificialmente. Questi obiettivi includono la prevenzione attraverso l’applicazione di precauzioni ragionevoli, l’identificazione dell’origine dei contenuti, il rilevamento attivo di contenuti ingannevoli, la pronta risposta a incidenti, l’apprendimento dalle esperienze passate, l’educazione del pubblico sulle pratiche mediatiche elettorali, e il sostegno allo sviluppo di strumenti di difesa e risorse per proteggere il dibattito pubblico e l’integrità democratica dall’uso di contenuti elettorali artificialmente manipolati. Nel quadro dei loro impegni fino al 2024, le parti coinvolte si adoperano con determinazione per affrontare le sfide poste dai contenuti elettorali ingannevoli generati artificialmente concentrandosi sullo sviluppo e sull’implementazione di tecnologie avanzate, lavorano per mitigare i rischi associati a tali contenuti. Questo impegno comprende il sostegno allo sviluppo di soluzioni innovative per identificare e certificare l’autenticità del contenuto, nonché l’adozione di metodi di tracciabilità e controllo delle immagini generate dall’IA. Parallelamente, si impegnano nella valutazione continua dei modelli inclusi nell’accordo al fine di comprendere meglio i rischi e migliorare i controlli. Si sforzano anche di promuovere la resilienza intersettoriale, condividendo le migliori pratiche e gli strumenti per affrontare il contenuto elettorale ingannevole in modo tempestivo ed efficace. Punto che poi si lega anche alla più recente disciplina governativa è il fatto che anche i privati riconoscano nella trasparenza un elemento chiave del loro approccio. Le parti coinvolte nell’accordo infatti si impegnano a fornire informazioni chiare sulle politiche adottate e sulle azioni intraprese per contrastare il contenuto ingannevole, collaborando attivamente con organizzazioni della società civile, accademici ed esperti. Inoltre, riconoscendo l’importanza dell’educazione e della sensibilizzazione del pubblico, si adoperano per promuovere la consapevolezza sui rischi associati al contenuto elettorale ingannevole e per fornire strumenti e risorse educative per proteggere il pubblico dalla manipolazione e dall’inganno. In conclusione, l’impegno delle società private del settore tecnologico nel garantire l’integrità della democrazia è un passo significativo verso la costruzione di un ambiente online sicuro e affidabile durante i processi elettorali. Il riconoscimento dei rischi associati ai contenuti elettorali ingannevoli generati artificialmente e gli sforzi per sviluppare e implementare soluzioni tecnologiche per contrastarli sono cruciali. Tuttavia, è importante sottolineare che la responsabilità di preservare la democrazia non ricade solo sulle spalle delle società private del tech o sui governi, ma anche sui cittadini stessi. È fondamentale che ogni individuo partecipi attivamente nell’analizzare criticamente le informazioni che riceve e nell’esercitare il proprio diritto al voto in modo informato. Solo attraverso un impegno condiviso tra le aziende tecnologiche, i governi e i cittadini, si può garantire un panorama elettorale equo e trasparente, preservando così i fondamenti stessi della democrazia. Fonti 1
Una guerra tutta italiana
Gli organi di potere in Italia, com’è noto, sono tre. Potere legislativo, attribuito al Parlamento, potere esecutivo che spetta al governo e il potere giudiziario, che viene gestito dalla magistratura in maniera completamente indipendente dall’esecutivo e dal legislativo. Con una facile analisi possiamo quindi identificare i due “mondi” che amministrano questi poteri, quello politico e quello della magistratura. Ecco che, uscendo dal manuale di diritto pubblico ed entrando nella realtà di tutti i giorni, ci si accorge che i rapporti tra il mondo politico e quello delle toghe tendono a essere più stridenti che sintonici. È di uso comune in ambito giornalistico riferirsi a questi scontri col termine “guerra”. Come sempre quindi, quando si parla di “guerra” il miglior modo per analizzarla è partire dagli albori, sviscerare gli eventi e comprendere così la storia e il fenomeno. Le prime crepe Servirebbe, ovviamente, un libro intero per produrre un’analisi completa di questo fenomeno dalla nascita della Repubblica a oggi. Per comodità, ritengo sia meglio partire dal momento in cui il “conflitto” è passato dal Transatlantico di Montecitorio ai televisori di tutti gli italiani, il 1992. Come già scritto nel precedente articolo, il 1992 è un anno di caos a livello politico e sociale, ma la data fondamentale per capire il fenomeno è il 17 febbraio 1992, quando il PM (Pubblico Ministero) Antonio Di Pietro, si presenta assieme ai carabinieri nell’ufficio di Mario Chiesa membro di caratura del PSI (Partito Socialista Italiano), il resto è storia. Quello che in questo caso mi interessa approfondire non è tanto il caso giudiziario in sé, quanto le reazioni di una e l’altra parte scaturite da questo evento. Il naturale campo di battaglia è la televisione divisa tra le dichiarazioni di PM ad un giovanissimo Paolo Brosio che, prima di avere visioni mistiche, faceva l’inviato per Emilio Fede (ex direttore tg4) e le dichiarazioni di Bettino Craxi (segretario PSI) che con frasi al limite del catastrofico, cercava di sollecitare l’opinione pubblica dalla sua parte, fino al triste “giorno delle monetine” quando il 30 aprile 1993 all’uscita del prestigioso Hotel Raphaël, Craxi non trova solidarietà bensì una folla di cittadini che al grido di :“vuoi pure queste, Bettino vuoi pure queste?” , lo “lapida” con delle monetine. Non è tanto interessante questa scena seppur iconica e storica, più interessante è la leggenda su chi da quell’hotel è uscito dal retro, “sua emittenza” Silvio Berlusconi. L’era Berlusconiana Silvio Berlusconi, non credo ci sia bisogno di presentazioni, ha stravolto per 20 anni la cultura e il concetto di politica in Italia. Una carriera politica nata sulle macerie della prima repubblica, con la promessa di legalità, ripresa economica, il nuovo “sogno italiano”. Quand’ecco all’orizzonte del 22 ottobre 1994, quel sogno tanto inseguito, viene divelto da un invito a comparire consegnato Silvio Berlusconi durante una conferenza ONU sulla criminalità organizzata, presieduta dallo stesso Berlusconi a Napoli. La Procura di Milano, invita a comparire il Presidente del Consiglio per chiedere chiarimenti su tangenti pagate ad agenti della Gdf nell’ambito di controlli fiscali alle sedi Mediaset. Questo sarà il primo tassello di uno scontro infinito tra il cavaliere e la magistratura italiana. La comunicazione del Cav da mani pulite fino al momento sopracitato, passando dalle lodi al pool di magistrati milanesi, ad alcune invettive che mi appresto ad elencare: “i magistrati sono antropologicamente diversi”, “c’è stato un accordo tra giudici per sovvertire il risultato delle elezioni”, “io vittima delle toghe rosse manovrate dalla sinistra”. Ecco, credo sia inutile sottolineare la gravità di queste dichiarazioni soprattutto se pronunciate dal Presidente del Consiglio, soprattutto se, il suddetto, è stato: colpevole di falsa testimonianza nel processo P2 nel settembre 1988, reato in seguito estinto con l’amnistia nel 1989, oppure accusato di aver pagato tangenti alla GdF per “alleggerire” le verifiche a Mondadori, Mediolanum, Telepiù, condannato a 2 anni e 9 mesi in primo grado ma caduto in prescrizione in appello per attenuanti genere, ma se non dovesse bastare, aggiungo il coinvolgimento in una serie di processi per corruzione di alcuni giudici romani, in relazione al lodo Mondadori (diatriba legale tra Berlusconi, De Benedetti e eredi Mondadori per la cessione dell’azienda) e il caso Sme. Berlusconi ne esce illeso ma la corruzione sarà dimostrata con la condanna dell’avvocato del Cavaliere, Cesare Previti e del giudice Meta, in seguito il tribunale di milano condannerà Fininvest ad un risarcimento di 560 milioni di euro da pagare a De Benedetti. Le conseguenze di tutto questo marasma giudiziario, tra assoluzioni condanne, dichiarazioni al limite della costituzionalità, non hanno fatto altro che portare l’opinione pubblica ad una polarizzazione tra le due forze, spaccando il paese a metà, creando un’epidemia di “tifo da stadio” che arriva fino ai giorni nostri. Il punto più basso, tornando a noi, probabilmente viene toccato quando nel 27 maggio 2010 riguardo allo “scandalo Ruby”, la Camera dei Deputati si riunisce in seduta comune per deliberare se Ruby fosse o meno la nipote di Mubarak (ex presidente dell’Egitto), l’aula è così piena che alcuni candidati di spicco allora appartenenti a Forza Italia, Giorgia Meloni e Ignazio La Russa votano in piedi. Ecco che nella serata con 317 voti a favore, per il Parlamento italiano Ruby Rubacuori è la nipote di Mubarak. Si commenta da solo. Berlusconi, ha creato un genere giudiziario e legislativo tutto suo con l’introduzione nell’immaginario pubblico delle leggi AD PERSONAM, segue una carrellata: Decreto Biondi (1994), che vieta la custodia cautelare in carcere per i reati contro la Pubblica Amministrazione e reati finanziari, decreto approvato dal governo Berlusconi 1 in concomitanza delle indagini per corruzione di agenti della GdF comprendente 4 società appartenenti alla Fininvest. Tassa di successione (2001), il 28 giugno il governo Berlusconi 2 abolisce la tassa di successione per i patrimoni superiori a 350 mld di lire. Condono fiscale (2002), la “finanziaria” del 2003 che contiene il condono tombale. Mediaset pagando 35 milioni di euro, sana un’evasione fiscale di 197 milioni di euro secondo l’agenzia delle entrate. Potrei andare avanti per pagine, su quante siano le leggi di questo tipo c’è molta
Club to Brand
Lo stile dello sport, i club come brand di moda Sta arrivando la bella stagione. Con le giornate di sole i parchi e le spiagge iniziano a popolarsi di ragazzi e persone che si godono la vita e si divertono. Salta facilmente all’occhio lo stile con cui sono vestiti. Per molti la scelta è un mantra, maglia da calcio tutto l’anno e canotta da basket se si va al mare, così ci si può anche abbronzare senza i segni delle maniche. Vedendoli, verrebbe da pensare che si tratta di semplici tifosi, che scelgono di mostrare la propria fede sportiva indossando la divisa di rappresentanza, un po’ come si farebbe per le maglie della propria band preferita. In molti casi però, la scelta è puramente di stile, anche perché altrimenti guardandosi intorno sulle spiagge italiane ad agosto, verrebbe da pensare che l’NBA sia il vero sport nazionale e che il calcio non sia nemmeno d’interesse. Cosa attira le persone a scegliere di indossare una maglia di un club sportivo anche se non si è minimamente interessati? La risposta è più semplice del previsto: la Moda. Solo una questione di stile? Che le persone siano altamente influenzate dalla moda e le tendenze, non è la scoperta del secolo, in qualsiasi settore questa propensione è sfruttata per ricavare il più possibile da un prodotto o un servizio. I club di ogni sport hanno da sempre svolto operazioni di brandizzazione usando i colori sociali e il logo in tutto ciò che li riguarda. Infatti, per molte squadre, è solito riferirsi a loro attraverso i colori, sono degli esempi “giallorossi” per la Roma, “bianconeri” per la Juventus o “Reds” per la squadra inglese del Liverpool. Questa primordiale forma di posizionamento del mercato, nel corso degli anni con l’ampliarsi del pubblico, ha attirato l’attenzione dei brand di moda sportiva e di lusso. Non si trattava più di fare una semplice divisa a tinta unita o a strisce bicolore che rappresentasse il club, era necessario impegnarsi per dare uno stile alla casacca che rimanesse impresso, con un unico obiettivo: vendere le maglie ai tifosi. Come accennato in precedenza, indossare una maglia di un club, era da sempre visto come il riconoscersi parte della tifoseria e supportare la squadra, pochi si sarebbero immaginati che una maglia di una piccola provincia italiana potesse finire indosso ad un giovane dall’altra parte del mondo. La realtà è che la voglia di dare un’identità di stile alla divisa, nata intorno agli anni settanta, ha portato alla moda dei giorni d’oggi in cui addirittura si vanno ad acquistare repliche delle maglie degli anni passati per adeguarsi al trend aggiungendo anche un tocco di vintage che non guasta mai. Il mercato della moda sportiva Le persone interessate all’acquisto delle maglie delle squadre sono aumentate, nonostante il prezzo per una maglia della stagione attuale, parte dagli 80-90 euro, per la versione “replica”, sino ai 150-180 euro per poter indossare la stessa portata in campo dai giocatori completa di personalizzazione e patch per le competizioni. Una cifra di tutto rispetto che quasi fa meravigliare di come ogni anno i tifosi siano disposti ad affrontarla. Con questi prezzi non meraviglia che il mercato delle maglie ufficiali per il solo calcio si aggiri attorno ai 10 miliardi di dollari annui, senza contare tutti i prodotti contraffatti che contribuiscono involontariamente alla popolarità delle squadre. Come possiamo vedere dalla seguente tabella i club con le maglie ed il merchandising, ricavano annualmente delle cifre molto importante per il bilancio, che unite ai diritti televisivi ed i premi dei risultati stagionali, costituiscono l’intero ammontare del fatturato. Squadra Ricavi Merchandising anno 2023 Barcellona 179 milioni Real Madrid 155 milioni Bayern Monaco 147 milioni Liverpool 132 milioni Manchester United 130 milioni Paris Saint-Germain 97 milioni Arsenal 89 milioni Chelsea 87 milioni Juventus 74 milioni Tottenham 74 milioni Per il basket invece dal seguente grafico emerge come sia altamente confermato il trend di popolarità dell’indossare le canotte anche al di fuori del campo e senza essere supporter della squadra. I dati nello specifico sono riferiti al mercato americano, ma per quello internazionale le cifre sono paragonabili ed evidenziano lo stesso trend. La grande visibilità e diffusione ha reso le maglie sportive dei cartelloni pubblicitari ambulanti, aumentando così le cifre che i club possono chiedere per far apparire su di esse i loghi dei brand. Club sportivi, la crescita del valore Tutte le scelte economiche e di posizionamento del brand da parte dei club sportivi, hanno portato nel corso degli anni ad una crescita impressionante del loro valore. Come si vede dal grafico che segue, la valutazione ha toccato quello delle grandi società in tutt’altri ambiti, nonostante l’ammontare non sia strettamente correlato con il fatturato, come di solito accade. Infatti, il riconoscimento ed il prestigio della squadra hanno un valore intrinseco in sé che è slegato anche dai risultati sportivi, che altrimenti provocherebbero continue oscillazioni delle valutazioni, e che ha potuto consolidarsi nel tempo. Non stupisce che nel corso degli anni, vi sia stato un avvicendamento dei proprietari e presidenti dei club, passando dai vecchi magnati che vedevano allo sport come un passatempo senza profitto, ai grandi fondi di investimento che hanno compreso le potenzialità mediatiche dello sport. Questo ha spinto ad un aumento della produzione di merchandising e soprattutto della moda sportiva, facendo si che i marchi sportivi che ogni anno vestono le squadre producano numerose versioni per la maglia con cui i giocatori scendono in campo e tutti i tipi di indumenti sportivi, come tute e materiale per gli allenamenti, che possono anche essere usati quotidianamente. La moda sportiva, unita all’aumento della spettacolarizzazione in tv dei match, mostra come la transizione dei club sportivi da semplici società fatte per amore dello sport a vere e proprie aziende stia per raggiungere il suo stadio finale. Ai nuovi proprietari non importano veramente successi e le emozioni che lo sport è in grado di trasmettere. I risultati, ovviamente sono ammessi solo quelli positivi, servono a raggiungere più pubblico da trasformare in futuri clienti.
Sicurezza del personale sanitario
È capitato almeno una volta, ad ognuno di noi, di criticare o volgere lamentele sul lavoro svolto dal personale sanitario durante una prestazione, un ricovero, o durante l’attesa di ricevere un esito. A volte, queste lamentele si tramutano in aggressività verbale, mentre nei casi più estremi si ricorre alla violenza fisica. La crescita degli episodi di violenza contro gli operatori del settore sanitari. Il 62% degli operatori sanitari ha dichiarato di esser stato vittima di violenza sul suo posto di lavoro: la violenza verbale è la forma più comune di abuso, seguita poi da minacce, aggressività fisica e anche molestie sessuali. Gli aggressori sono pazienti, ma più comunemente i parenti ed i visitatori di questi ultimi. Le categorie preda di questi attacchi sono gli infermieri, il personale più a stretto contatto con il paziente durante il processo di cura, ma anche il personale del pronto soccorso e medici. L’INAIL ha registrato 4800 e più aggressioni dal 2019 al 2021. Ma cosa succede quando un operatore viene colpito fisicamente? Viene avviata la pratica di infortunio sul lavoro, spesso il professionista colpito è costretto ad assentarsi dal posto di lavoro. In un momento storico in cui la sanità risente della mancanza di personale, anche la sostituzione del professionista coinvolto nell’infortunio viene meno, riducendo la qualità dell’assistenza, aumentando i tempi di ospedalizzazione e quindi i costi e questo porta inevitabilmente ad ulteriore lamentele: un circolo vizioso! Reparti della sanità mentale. Un altro fenomeno da non sottovalutare è l’aumento delle aggressioni nei contesti psichiatrici e psicogeriatrici, dove il personale è sempre meno ed il malato imprevedibile. Manca del personale che vigili sulla salute e sicurezza degli operatori, ma anche degli altri utenti. Un esempio che mi è vicino è il paziente psichiatrico che ha, letteralmente, distrutto il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell’Ospedale Civile Di Baggiovara, a Modena dove ho studiato e svolto in prima persona l’esperienza del tirocinio. Questo tipo di aggressioni non sono qualcosa di cui si parla come una problematica ed è proprio questo che evidenzia la necessità di sensibilizzare le persone: non viene nemmeno visto come un problema. Mentre invece dovremmo educare per prevenire ogni forma di violenza verbale e fisica. Cosa stiamo facendo ora? Il Ministero della Salute ha lanciato una campagna informativa con l’hashtag “La violenza non cura”. Questo non è che il primo approccio di divulgazione sulla gravità e sulle conseguenze degli atti di violenza, con il fine ultimo di ricostruire un rapporto di fiducia, promuovendo la figura del professionista sanitario e valorizzare il suo lavoro. Inoltre, è stata indetta la Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari, il 12 marzo. Tuttavia credo si possa fare di più e basta il buon senso per capire quanto sia profondamente ingiusto e del tutto sbagliato fare del male a qualcuno, soprattutto se quest’ultimo dedica la sua vita nel salvare o nel rendere migliore la vita altrui. Non basta chiamarli eroi durante i momenti di tragicità, come una pandemia globale, ma è necessario apprezzare il loro lavoro ogni giorno. La violenza non è mai la soluzione. Fonti https://www.nbst.it/1560-violenza-contro-gli-operatori-sanitari-fenomeno-allarmante-e-sottostimato https://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/lavoro-e-professione/2023-08-31/la-violenza-contro-operatori-sanitari-e-necessarie-tutele-minime-che-aziende-e-stato-dovrebbero-garantire-092540.php?uuid=AFzaEdh# https://www.ilrestodelcarlino.it/modena/cronaca/salute-mentale-il-grido-dallarme-centri-psichiatrici-insufficienti-e934ea12 https://www.quotidianosanita.it/m/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=118557
L’AI e l’etica
Etica, dal greco ἔθοϚ «costume, carattere», fa riferimento a tutte le considerazioni sui principi legati alla morale e al comportamento pratico dell’uomo1, includendo l’identificazione dei diritti e dei doveri morali verso sé stessi e gli altri, al fine di ottenere criteri di valutazione per le azioni umane2. L’avvento dell’Intelligenza Artificiale (IA) ha causato non pochi quesiti sotto molti punti di vista, tra cui anche quello etico, ramificato in diverse questioni, che verranno pian piano sviscerate nel corso di questa serie. Prima di procedere è utile sottolineare che l’etica ha carattere fortemente territoriale e culturale, per quello che qui concerne prenderemo a riferimento prevalentemente la cultura occidentale euro-statunitense. I temi attorno all’etica dell’IA si possono riassumere in 8 punti cardine3 che sono alla base delle recenti normative tra cui ritroviamo principalmente la privacy, la responsabilità e la sicurezza, la trasparenza e la lotta alle disuguaglianze, ma anche il controllo umano della tecnologia, insieme alla responsabilità professionale e alla promozione dei valori umani. In merito alla privacy, ad esempio, un esempio tangibile è il provvedimento del Garante del 31 marzo 2023 contro Chatgpt per la raccolta illecita di dati personali4 con il quale il garante ha disposto con effetto immediato «la limitazione provvisoria del trattamento dei dati degli utenti italiani nei confronti di OpenAI, la società statunitense»5. Con il provvedimento emesso il garante evidenziava la mancanza di una adeguata informativa agli utenti oltre che l’assenza di una base giuridica che giustificasse la massiccia raccolta e conservazione di dati personali. Altra sfida è la determinazione della responsabilità giuridica in caso di danni causati dall’IA, e, in questo caso l’esempio di cui si abusa è quello del veicolo a guida autonoma. Ma di fondamentale importanza sono anche le questioni legate alla trasparenza nell’utilizzo di questi sistemi che causano inevitabilmente disuguaglianze informative e non ed è per questo che i governi di tutto il mondo si stanno interessando alla materia. Non è un caso infatti che queste tematiche siano al centro sia della disciplina dell’AI Act che nell’Executive Order statunitense, anche se quest’ultimo risente dell’approccio americano ed è caratterizzato da un approccio molto più liberale e a favore delle grandi imprese. Dal punto di vista nazionale notiamo come dalla necessità di rispondere nel modo migliore si sia generata la costituzione della Società Italiana per l’Etica dell’Intelligenza Artificiale (SIpEIA) che si definisce come «come associazione culturale che riunisce accademici, studiosi, operatori, aziende e cittadini interessati ai problemi etici sollevati dalla IA»6, di fatto promuove corsi e articoli sul tema. È in questo contesto che diventa fondamentale l’insegnamento al rapportarsi con gli strumenti. L’AI Literacy7 viene definita come un insieme di competenze che consentono una solida comprensione dell’IA attraverso tre assi prioritari: apprendimento dell’IA, apprendimento di come funziona l’IA e apprendimento per la vita con l’IA e la sua implementazione. Nell’AI Literacy si inizia, infatti, col capire cosa effettivamente sia l’intelligenza artificiale e come funziona. Questo include introdurre la familiarità con concetti come il machine learning, le reti neurali e gli algoritmi di IA, in quanto la comprensione è essenziale per riconoscere le applicazioni pratiche dell’IA nei vari contesti. Un’ulteriore componente importante è la capacità di valutare criticamente le soluzioni basate sull’intelligenza artificiale. Questo implica essere consapevoli dei potenziali bias nei dati di addestramento e delle implicazioni etiche associate all’uso dell’IA. Essere alfabetizzati in IA significa di fatto anche saper utilizzare strumenti basati su quest’ultima o collaborare con sistemi intelligenti per migliorare l’efficienza e l’automazione in vari contesti. Poiché la tecnologia dell’IA è in continua evoluzione, l’AI Literacy richiede un’attitudine all’apprendimento continuo e l’aggiornamento delle conoscenze. Come anticipato, l’obiettivo principale sarà quello di esaminare le molteplici questioni etiche suscitate dall’avvento dell’Intelligenza Artificiale. Attraverso un’analisi approfondita di tali problematiche, siamo più preparati a comprendere l’impatto complessivo dell’IA sulla società e a sviluppare strategie per gestire in modo efficace le sfide etiche che essa presenta. NOTE 1 C.A. VIANO, voce « Etica», in Enc. Trec., 1993 2Ibidem 3 J.FJELD, N. ACHTEN,H.HILLIGOSS, A.C.NAGY, M. SRIKUMAR, Principled Artificial Intelligence Mapping Consensus in Ethical and Rights-based Approaches to Principles for AI, in The Berkman Klein Center for Internet e Society, 2020 4 Garante della Privacy, Intelligenza artificiale: il Garante blocca ChatGPT. Raccolta illecita di dati personali. Assenza di sistemi per la verifica dell’età dei minori, Doc-Web 9870847, 2023 5Ibidem 7 D.BASHIR, AI Literacy : Understanding Shifts in our Digital Ecosystem , in New Degree Press, 2022
Real World Assets
ASSET TRADIZIONALI SULLA BLOCKCHAIN – IL FUTURO? Gli asset di cui andremo a parlare in questo articolo rispecchiano in toto tutto quello su cui può investire l’essere umano al giorno d’oggi: dal classico titolo di stato fino alle royalties degli autori, dagli immobili fino alle stock option. Come possiamo però rendere “future-proof” tutto questo? La risposta molto probabilmente è già nel titolo: la Blockchain. COS’E’ LA BLOCKCHAIN? Per farla breve e senza usare paroloni, immaginate di avere un registro digitale, immutabile e permanente che tiene appuntate tutte le operazioni e/o transazioni, e in esse le informazioni, che sono state in esso compiute dai cosiddetti “contratti intelligenti” ed elaborate dai “validatori”. Il tutto viene poi trasformato in stringhe di codici alfanumerici per rendere più sicure e trasparenti queste informazioni. Vige infatti il principio della “verità crittografica”, ovvero il principio nel quale il codice con cui è stata costruita la blockchain funziona senza bisogno di garanzie e fiducia di terzi (CHAINLINK BLOG). COME POSSIAMO INTEGRARE GLI ASSET SULLA BLOCKCHAIN? Ovviamente, per ogni tipo di asset, varierà il meccanismo con cui viene integrato nella blockchain e reso disponibile a tutti. Faremo quindi due esempi che vengono dalle idee uscite in questi ultimi tempi: uno per un asset finanziario, il classico titolo di stato, e uno per un asset reale, ovvero un immobile. Partiamo dal titolo di stato. Siccome siamo (orgogliosamente) italiani, utilizzeremo il nostro amato BTP. All’emissione, si effettuerà la classica asta dove vengono raccolti capitali tramite gli ordini effettuati sul MOT dalle Società di Investimento o dalle banche. Contestualmente, vengono emessi i “Token” sulla blockchain, ovvero delle rappresentazioni digitali del titolo che garantiscono all’investitore la proprietà dell’asset e, di conseguenza, tutti i diritti e i doveri che quell’asset permette di esercitare una volta acquistato. Ora invece passiamo all’immobile, e per questo esempio prenderemo una villetta bifamiliare. Normalmente, il futuro proprietario di un immobile deve eseguire dal notaio l’atto che ne attesterà la sua proprietà, pagandolo migliaia di euro e rimanendo schiavi della burocrazia di queste procedure. Con la Blockchain è il Token che attesta la proprietà viene acquistato dal futuro proprietario. Egli si ritroverà nel proprio portafoglio virtuale (o wallet) questo asset digitale che automaticamente, al momento dell’acquisto, attribuisce al proprietario tutti i diritti e i doveri che sono garantiti normalmente quando si possiede un immobile di questo tipo. Il proprietario poi potrà decidere se rivenderlo tutto o, essendo in questo caso la rappresentazione di una villa bifamiliare, venderne metà per concedere ad un’altra famiglia di abitare nell’altra metà della sua proprietà. Può anche decidere di dare in affitto questa metà, rimanendo proprietario della villa intera e incassando una rendita immobiliare. CHE VANTAGGI E SVANTAGGI CI SONO? NON E’ TROPPO COMPLICATO? I vantaggi principali sono evidenti: snellire la burocrazia e i costi annessi aumentare la tracciabilità e la sicurezza delle operazioni aumentare la scalabilità permettendo un’esecuzione delle compravendite più veloce aumentare ed unificare maggiormente la liquidità del mercato Attualmente, con le regolamentazioni stringenti in vigore, bisogna considerare l’aspetto normativo di questo sistema: non è infatti presente, al giorno d’oggi, alcuna direttiva o regolamento che definisca anche solo la modalità di utilizzo della Blockchain negli ambiti più importanti e di maggior impatto come la finanza. Tuttavia, come ci si poteva aspettare, gli ultimi regolamenti che vengono fatti riguardano l’antiriciclaggio e il tentativo (quasi inutile) di arginare l’operatività malevola e criminale. Gli altri possibili svantaggi possono essere il rischio e la complessità di questa nuova tecnologia. Va però detto che, prima della bolla Dot-Com in cui Internet era la nuova tecnologia dirompente, questi svantaggi andranno man mano a scomparire con l’adozione di massa e il passare del tempo. Le persone, infatti, si adatteranno ai nuovi standard di tecnologia, una volta adottata su larga scala, come hanno fatto con Internet e i PC. IN CONCLUSIONE Ci si può aspettare sicuramente un avanzamento prorompente di questi asset nella Blockchain. I primi esperimenti sono già iniziati da anni e, negli ultimi mesi, le banche centrali e i grandi fondi d’investimento stanno investendo i loro capitali per poter offrire questo tipo di prodotti ai propri clienti. Un esempio è proprio Bankitalia che, l’anno scorso, ha emesso i primi bond sulla blockchain Algorand. FONTI https://www.chainalysis.com/blog/asset-tokenization-explained/#risks https://blog.chain.link/what-is-cryptographic-truth/ https://blog.chain.link/real-world-assets-rwas-explained/ https://www.nasdaq.com/articles/how-is-rwa-real-world-asset-tokenization-disrupting-industries
GREEN IS THE NEW BLACK: 50 SFUMATURE DI BOND.
Ora che abbiamo capito cos’è la finanza verde e la finanza sostenibile, esploriamo i tipi di investimento verdi più utilizzati. GREEN BOND I green bond hanno fatto la loro prima comparsa nel 2007, quando istituzioni multilaterali come Banca Europea per gli Investimenti (BEI) e Banca Mondiale li hanno emessi nel mercato con rating AAA. Inizialmente il mercato ha mostrato una crescita lenta per quasi un decennio ma poi ha iniziato a decollare, superando il valore di 500 miliardi di dollari nel 2021. Ad oggi i green bond rappresentano lo strumento verde più diffuso. Ma cosa sono esattamente i green bond e come funzionano? Le obbligazioni verdi funzionano come normali obbligazioni, quindi gli investitori devono tenere conto dei rischi finanziari tipici dello strumento obbligazionario tradizionale. Ciò che le distingue è che la loro emissione è vincolata al finanziamento esclusivo di progetti o attività che hanno un impatto positivo sul clima e sull’ambiente, questo vincolo è spesso definito tramite un quadro di riferimento chiamato “use of proceeds” (uso dei proventi), che stabilisce le categorie di progetti idonei al finanziamento SOCIAL BOND Il mercato dei social bond è più recente rispetto a quello dei green bond; tuttavia, la pandemia ha fatto crescere rapidamente il loro mercato, portando le emissioni da 17 miliardi di dollari nel 2019 a 132 miliardi di dollari nel 2020. Per qualificarsi come sociali, i proventi dei social bond devono finanziare esclusivamente progetti o iniziative che affrontano o mitigano uno specifico problema sociale, con l’obiettivo di generare un effetto sociale positivo. I social bond si concentrano principalmente sui settori chiave come la salute, l’istruzione e l’inclusione sociale. SUSTAINABILTY LINKED BOND Le obbligazioni sostenibili a differenza delle precedenti non finanziano progetti specifici ma piuttosto progetti generali che supportano l’obiettivo della sostenibilità. All’interno delle obbligazioni sostenibili troviamo una sottocategoria le sustainabillity-linked bond, questi titoli sono strutturalmente e/o finanziariamente legati al conseguimento di uno degli obiettivi di sviluppo sostenibili dell’agenda 2030 dell’ONU. Ad esempio, possono includere una clausola che indicizza la cedola dell’obbligazione, facendo aumentare o diminuire il valore della cedola stessa in base al progresso verso questi obiettivi. CONCLUSIONI Le obbligazioni verdi, sociali e sostenibili hanno avuto un profondo impatto sul mercato finanziario globale, aumentando la consapevolezza sui temi ambientali e sociali tra gli investitori e gli emittenti. L’emissione di questi nuovi strumenti ha richiesto un nuovo tipo di valutazione della trasparenza, per garantire che i proventi siano effettivamente destinati a progetti “green”, tuttavia per non farvi spoiler, lascio i dettagli per il prossimo articolo. EXTRA: Se siete interessati e volete approfondire il mercato degli investimenti sostenibili, vi lascio il link a questa piattaforma interattiva che vi permette di analizzare vari aspetti del mercato gratuitamente. https://www.climatebonds.net/market/data/ FONTI https://www.pimco.it/it-it/resources/education/understanding-green-social-and-sustainability-bonds/ https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20230929IPR06139/green-bond-approvato-nuovo-standard-ue-per-contrastare-il-greenwashing#:~:text=Dal%202007%2C%20il%20mercato%20delle%20obbligazioni%20verdi%20ha,un%20aumento%20del%2075%20%25%20rispetto%20al%202020. https://www.ilsole24ore.com/art/l-anno-social-bond-667percento-nuove-emissioni-ADqCtNCB https://jpmam.ft.com/how-green-social-and-sustainability-bonds-could-change-the-world
HAI VOGLIA DI HAMBURGER O SEI SOLO NOSTALGICO DEL PASSATO?
Ripensando agli anni della scuola materna, la mia mente viene avvolta da fotogrammi sereni: un cortile colmo di bambini sorridenti, il parco giochi in cui mi sono ritrovata con i miei amici fino a quando siamo diventati troppo alti per salire sulle altalene, le verdure raccolte dall’orto che coltivavamo in giardino… Qualche giorno fa, però, ho casualmente accennato questo discorso con mia madre e con mia grande sorpresa lei mi ha ricordato che a quei tempi per me il mondo non era tutto rose e fiori: ogni mattina prima di salire sul pullman diretto verso l’asilo si susseguivano lacrime e richieste di rimanere a casa. Sembrava quindi che il mio cervello avesse conservato una visione distorta di quel periodo, ponendo una maggiore enfasi sui ricordi positivi ed erodendo lentamente quelli meno piacevoli. Anche a te sarà successo almeno una volta di ripensare al passato in maniera nostalgica; accade un po’ a tutti. Basta pensare ai nonni e alla loro frase ricorrente “ai miei tempi si stava meglio” o al celebre film di Woody Allen intitolato Midnight in Paris, nel quale il protagonista Gil Pender afferma che “… La nostalgia è negazione, negazione di un presente infelice. E il nome di questo falso pensiero è: sindrome epoca d’oro, cioè l’idea errata che un diverso periodo storico sia migliore di quello in cui viviamo. Vedete, è un difetto dell’immaginario romantico di certe persone che trovano difficile cavarsela nel presente …” .1 Il neuromarketing L’argomento su cui vorrei focalizzarmi riguarda la campagna pubblicitaria messa in atto pochi mesi fa da Mc Donald’s in 100 diverse nazioni, dal nome “As Featured In”. La catena di fast food ha infatti reso disponibile un menù speciale composto da alimenti emblematici di Mc Donald’s apparsi in film, canzoni e serie tv che ormai fanno parte a pieno titolo della pop culture, tra cui la serie tv The Office (“Michael Scott loves Filet-O- Fish”), il film di fantascienza Fifth Element, l’iconico dialogo tra Vincent Vaga e Jules Winnfield in Pulp Fiction, scene di Loki, Friends, Fast and Furious, Coming to America, Space Jam e molti altri. Ma cos’hanno in comune la mossa pubblicitaria di Mc Donald’s, i miei pianti all’asilo, i ricordi di mio nonno e un intenso monologo cinematografico? Semplice: il sentimento della nostalgia, o più precisamente il cosiddetto bias della nostalgia o retrospettiva rosea. Si tratta di un fenomeno psicologico per cui le persone tendono a giudicare il passato in modo più roseo di quanto giudichino il presente (o come avrebbero detto i nostri antenati latini, memoria praeteritorum bonorum)2. Perché il nostro sistema nervoso mette in atto questo bias cognitivo? Probabilmente perché la semplificazione dei ricordi implica la necessità di una minore quantità di connessioni neurali per immagazzinarli e recuperarli al momento opportuno. Così come in un computer vengono rimossi i dati superflui per evitare di occupare memoria inutilmente, allo stesso modo agisce la nostra mente. Ma il motivo di ciò non è esclusivamente fisiologico: esiste anche una ragione legata al benesserepsicologico. In un mondo in continua e rapida evoluzione, ogni certezza sembra scivolare tra le mani come sabbia, ed è inevitabile che si crei un sentimento di angoscia dovuto all’impossibilità di ancorarsi a qualcosa che rimanga così com’è. Internet, social networks, intelligenza artificiale, sono solo alcune delle rivoluzioni tecnologiche che hanno permeato la società negli scorsi decenni, stravolgendo il modo di vivere ormai consolidato dei nostri predecessori. A un presente incerto e tentennante, la mente umana controbatte con la propensione a rifugiarsi in sentimenti, sensazioni ed esperienze già vissuti, in modo da ricevere una confortante rassicurazione, anche a costo di manipolare i ricordi stessi. I Bias Avendo introdotto le motivazioni psicofisiche di questo fenomeno, posso ora concentrarmi sull’obiettivo della mia analisi: esplorare questo esempio di neuromarketing (disciplina volta all’individuazione di canali di comunicazione diretti ai processi decisionali d’acquisto, mediante l’utilizzo di metodologie legate alle neuroscienze 3 ), analizzandone le caratteristiche e l’effetto sui consumatori. Come vedremo, quella attuata da Mc Donald’s si rivelerà una strategia efficiente (e no, non è uno spoiler, in quanto bisognerebbe vivere in una grotta isolata per non accorgersi del fatto che questa azienda ha costruito un vero e proprio impero partendo da zero). “Due minuti // La strada prima che sia troppo tardi per cambiare idea”. I fan più accaniti avranno riconosciuto il testo di una canzone di Calcutta, nella quale sono sufficienti due minuti per cambiare lo stato d’animo del narratore. Ecco, per quanto riguarda la nostra vita quotidiana, è stato studiato che in media ciascuno di noi impiega non due minuti, bensì solo due secondi per giudicare una scelta di acquisto; è perciò fondamentale per il venditore saper sfruttare bene lo scarso tempo che ha a disposizione per imprimersi in modo eternamente positivo nell’immaginario del consumatore. Senza dubbio fare ciò non è semplice, tuttavia esiste un trucco che può agevolare questo processo: sfruttare i bias cognitivi. Di cosa si tratta? Nell’intricata selva oscura di tutte le possibili scelte quotidiane, il nostro cervello svolge il ruolo di Virgilio nella selva oscura dantesca, dovendoci guidare senza esitazione verso la metaforica uscita, ossia verso la decisione finale. A differenza di Virgilio, però, la nostra guida non è invulnerabile: può essere influenzata e guidata verso direzioni differenti. Tali influenze, note come bias cognitivi, sono in grado di plasmare le nostre opinioni senza che noi ce ne accorgiamo, e questo rappresenta un notevole punto di forza per il neuromarketing. I bias sono deviazioni sistematiche dalla realtà oggettiva, che rendono il processo decisionale vulnerabile a distorsioni e pregiudizi inconsapevoli. La chiave di questo stratagemma (che è lo stesso adottato da Mc Donald’s) risiede nella capacità di connettere in modo indissolubile i propri prodotti agli stati emotivi positivi associati a periodi di vita passata. Il neuromarketing pertanto propone un vero e proprio viaggio nel tempo, che catapulta il consumatore in un’oasi di nostalgia. Ovviamente, questo viaggio è condensato in meno di due secondi! Questa strategia di marketing si rivela essere un approccio intelligente ed efficace per fidelizzare il consumatore, innescando in lui una risposta
FANTARCHEOLOGIA
Partecipando alle lezioni di metodologia della ricerca archeologica del dipartimento di Beni Culturali dell’università di Bologna, la prima questione sulla quale il professore si è focalizzato è stata quella di dimenticare tutto ciò che sapevamo (o pensavamo di sapere) sull’archeologia. Molti di noi, che di questa materia ne avevamo fatto il nostro obiettivo di vita, ci siamo un po’ preoccupati: in realtà, ciò che ci è stato raccontato dopo, non è stato così spaventoso né così surreale. I programmi televisivi, le riviste, i libri per bambini, i film, veicolano (tendenzialmente) lo stesso messaggio: l’archeologia è avventura, magia e mistero. Ecco perché, quando si racconta di voler far questo di mestiere, molte persone dicono “anche io da bambin* avevo questo sogno!”. Crescendo però, il numero di persone che vuole intraprendere questo percorso diminuisce pian piano, finché soltanto pochi superstiti si riuniranno un pomeriggio infrasettimanale davanti la macchinetta del caffè, parlando di quanta terra abbiano inghiottito durante gli scavi estivi o che tipo di ustione si siano presi. Eppure il mito per l’archeologia rimane, tra bambini e adulti che sono al di fuori di questo mondo: come mai? Proprio per i mezzi di comunicazione sopracitati: tutto ci parla di un’archeologia fantastica, fatta di oro, maledizioni, fughe e di un gran coraggio. È davvero così? Ovviamente no: L’archeologia è una disciplina a metà tra le scienze dure e le materie umanistiche. Richiede dunque studio e impegno, oltre che una forte resistenza fisica e mentale a molte ore di lavoro in condizioni climatiche intense. Fu la scoperta da parte di Howard Carter e la sua squadra della tomba del faraone Tutankhamon che secondo molti causò quella che viene definita “perdita dell’innocenza” dell’archeologia, ovvero una concezione distorta del ruolo dell’archeologo e della sua ricerca: infatti dopo la sensazionale scoperta, iniziò a diffondersi l’idea che il ritrovamento della tomba dell’antico faraone abbia maledetto tutta l’equipe di studiosi (poiché molti persero la vita più o meno nello stesso periodo, ma si trattò, ovviamente, di una semplice coincidenza). Secondo la cultura pop del ‘900 dunque, questo mestiere riporterebbe alla luce reperti maledetti, magici, divini o alieni (secondo molti le piramidi furono costruite da civiltà extraterrestri!). Queste concezioni rientrano nel termine di “fantarcheologia”, un’archeologia dunque legata al fantastico e al surreale. Ovviamente la “fantarcheologia” fu ampiamente commercializzata: tramite videogiochi, pubblicità, programmi televisivi, oggetti di qualsiasi tipo. Questi articoli furono, e sono ancora oggi, venduti a caro prezzo, e si possono trovare ovunque, su internet, nei negozi turistici, negli shop dei musei. Le stesse città che ospitano determinate scoperte incentivano un business enorme che va di pari passo con il fenomeno del capitalismo sfrenato, insieme a quello della ridicolizzazione ed estremizzazione dell’archeologia. Un’impronta altrettanto decisiva la lasciarono i film, come La Mummia, Indiana Jones, Lara Croft, e così via. Ricordo l’entusiasmo che avevo da bambina nel vedere le fantastiche avventure di questi personaggi, che accrebbero sempre di più (inconsciamente) la mia curiosità. E io stessa (lo ammetto) ho in casa una collezione abbastanza ampia di libri e oggetti non proprio in linea con ciò che l’archeologia sia realmente. Altro aspetto importante da sottolineare, sta nel fatto che c’è un legame veramente profondo tra discipline storico – archeologiche e “costruzione identitaria”. I tentativi di revisionismo storico non sono così pochi; e le implicazioni geopolitiche a cui essi portano non sono da sottovalutare. Quando si parla di “riconquista dell’identità” per una maggiore consapevolezza del vivere civile, i programmi politici, al di là di qualche circoscritta azione di valorizzazione, non mettono in campo risorse adeguate. Quando l’archeologia però potrebbe essere impiegata come mezzo di propaganda politica o strategie militari, allora diventa la protagonista indiscussa. Il collegamento con il fascismo è lampante: il termine stesso deriverebbe dai fasci littori, utilizzati dai consoli e dai littori per irrogare la pena capitale per decapitazione. Simbolo spesso utilizzato era quello dell’Aquila, che nella Roma antica era simbolo del potere imperiale. La romanità del passato crea dunque le basi di questa ideologia (anche se dobbiamo sempre ricordare che fenomeni di questa portata non hanno origine univoca). Sicuramente ci sono infatti altri contesti di riferimento entro i quali inserire la nascita del fascismo, ma l’archeologia è uno dei denominatori comuni più importanti. Non solo: sempre negli anni della seconda guerra mondiale, sia gli Alleati che l’Asse, hanno sfruttato le conoscenze archeologiche per individuare siti strategici o recuperare artefatti che potessero avere un valore politico o militare. Ci sono casi in cui gli agenti segreti hanno operato sotto copertura come archeologici per accedere a determinate aree o informazioni sensibili. Ad esempio il regime nazista utilizzò il reparto di archeologia militare per cercare antichi manufatti in territori occupati, come la Francia, che avessero un potenziale valore propagandistico o politico. I nazisti cercavano infatti di dimostrare la superiorità della cultura tedesca appropriandosi di manufatti culturali di altri paesi. Inoltre, la confiscazione di queste opere avrebbe potuto privare i paesi occupati dei loro simboli culturali e identitari, indebolendoli e rafforzando il controllo nazista. I servizi segreti tedeschi inoltre miravano a sfruttare conoscenze archeologiche per individuare risorse strategiche nei territori occupati. Allo stesso modo gli Alleati utilizzarono esperti archeologhi per valutare i danni ai monumenti storici durante i bombardamenti e per individuare potenziali nascondigli dietro rovine antiche. Con l’operazione “Mincemeat”, i segreti britannici utilizzarono un cadavere e documenti falsi per ingannare le forze dell’Asse sulle intenzioni degli Alleati riguardo lo sbarco in Sicilia, dimostrando come lo spionaggio possa essere utilizzato all’interno di contesti storici e archeologici. La questione è sempre quella: l’informazione viene manipolata. L’idea dell’archeologia è dunque spesso stata distorta, per interessi molto vari. Chi fa parte di questo ambiente ha un potere molto forte e l’attenzione nella corretta informazione e divulgazione deve essere massima. Il fenomeno delle “fake news” sembra recente ma non lo è: la manipolazione storica/archeologica è sempre esistita. Oggi però, al contrario delle epoche passate, abbiamo molti più mezzi per analizzare le informazioni che ogni giorno ci vengono propinate. La soluzione per evitare di incorrere in un’archeologia falsa o fantastica risiede in una sana curiosità basata sulla validità
GREEN IS THE NEW BLACK
THERE IS NOT A PLAN B BECAUSE THERE IS NOT A PLANET B Facciamo un breve salto indietro nel tempo, Il 4 novembre del 2016 entra in vigore l’accordo di Parigi, Il primo accordo vincolante a livello globale sul cambiamento climatico firmato da 196 stati in occasione della COP21. Questo accordo definisce un quadro generale per la gestione dei cambiamenti climatici e si articola su tre punti fondamentali: Una sollecitazione globale per contenere l’aumento della temperatura globale media a 1.5°; La necessità di adattarsi agli impatti negativi e a proseguire uno sviluppo a basso consumo di gas serra; L’importanza di rendere i flussi finanziari coerenti con un percorso che conduca a uno sviluppo a basse emissioni di gas serra. In questo contesto la finanza sostenibile emerge come uno strumento per tradurre gli obiettivi dell’accordo di Parigi in azioni concrete. SUSTAINABLE FINANCE AND GREEN FINANCE La finanza sostenibile racchiude tutti i tipi di finanziamento che contribuiscono allo sviluppo sostenibile e si propone di creare valore nel lungo periodo, tenendo in considerazione non solo gli aspetti finanziari ma anche i fattori di tipo ambientale, sociale e di governance (fattori ESG) nel processo decisionale di investimento. Ma in dettaglio cosa sono i fattori ESG? Il fattore ambientale valuta l’impatto delle decisioni aziendali sull’ambiente, prendendo in considerazione le emissioni, l’utilizzo di fonti naturali e le iniziative pro-sostenibilità messe in atto dall’azienda. Il fattore sociale si concentra sulle relazioni che ha l’azienda con gli stakeholder sia interni che esterni, valuta quindi questioni etiche e di responsabilità sociale come il rispetto dei diritti umani, la diversità e l’inclusione. Il fattore Governance riguarda i temi di gestione aziendale, monitora se i comportamenti e le scelte della direzione aziendale perseguono principi etici e di trasparenza. I fattori ESG sono quindi fondamentali per valutare la performance ambientale di un’impresa, concentriamoci ora sulla finanza verde. Finanza Verde La finanza verde è un sottoinsieme della finanza sostenibile e si concentra su due aspetti principali: l’internalizzazione delle esternalità ambientali e la riduzione della percezione del rischio, vediamoli nel dettaglio. Internalizzare le esternalità ambientali significa valutare e integrare i costi ambientali esterni, ad esempio i danni ambientali causati dalle emissioni di un’impresa, nella valutazione finanziaria. Questo può essere realizzato incorporando i costi ambientali nei prezzi dei beni e/o dei servizi, ad esempio attraverso la tassazione delle emissioni come la tassa sul carbonio. Dando incentivi fiscali alle aziende che adottano pratiche sostenibili oppure incentivando l’utilizzo e lo sviluppo di strumenti finanziari innovativi come i green bonds. Mentre ridurre la percezione del rischio significa aumentare la fiducia degli investitori nei progetti sostenibili. Questo può essere ottenuto rendendo le informazioni sugli investimenti sostenibili più chiare e trasparenti e utilizzando standard di certificazione riconosciuti In definitiva l’obiettivo della finanza verde è promuovere investimenti che non solo generano rendimenti finanziari, ma che contribuiscono anche a mitigare i rischi ambientali promuovendo la sostenibilità nel lungo termine. Note https://www.consilium.europa.eu/it/policies/climate-change/paris-agreement/ https://corporatefinanceinstitute.com/resources/esg/esg-environmental-social-governance/ https://www.weforum.org/agenda/2020/11/what-is-green-finance/ https://www.greenfinanceplatform.org/page/explore-green-finance#:~:text=Two%20main%20goals%20of%20green%20finance%20are%20to,over%20business-as-usual%20investments%20that%20perpetuate%20unsustainable%20growth%20patterns. https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1877343523000465
L’Ai e lo sviluppo economico
Una cosa sulla quale quasi tutti siamo d’accordo è che la tecnologia è fondamentale nel miglioramento della vita umana; non è chiarissimo che cosa la favorisca, come si diffonda o come si trasformi in benessere, però sappiamo che ne abbiamo bisogno. Nell’enciclopedia Treccani la tecnologia viene definita come: “Tecniche utilizzate per produrre oggetti e migliorare le condizioni di vita dell’uomo” “Lo sviluppo di strumenti o di macchine con cui si è risolto un problema o è stato migliorato un aspetto della nostra vita quotidiana” La tecnologia è uno stock di conoscenza, conoscenza che viene applicata alla risoluzione dei problemi dell’uomo. Tecnologia e produzione Dal punto di vista economico ci aiuta in tre modi: Per prima cosa aumenta la produttività di un certo fattore di input, cioè la quantità di beni e servizi che si può ottenere con la stessa quantità di fattore produttivo. Già un modello abbastanza basilare come quello rappresentato da una funzione Cobb-Douglas aiuta a spiegare questo effetto. La funzione Cobb-Douglas è una funzione di produzione basata su due fattori produttivi, il lavoro e il capitale. Q =𝐴 𝐿^(a)𝐾^(1-a) Dove L è la quantità di lavoro, ad esempio il numero di impiegati, K è il capitale e alpha è un numero tra zero e uno. 1) I rendimenti sono decrescenti: si può aumentare solo la quantità di un fattore, però il suo effetto decrese per ogni unità in più. 2) Gode di effetti di scala: se si aumentano entrambi gli input la quantità totale prodotta aumenta. Quindi, in teoria, se aumentano tutti e due si può aumentare la produzione, però considerando che il mondo è limitato e che ciò che conta è la quantità di prodotto per persona che, per forza di cose, se aumentano entrambi rimane basso, alla fine quello che gioca e ha sempre giocato un fattore fondamentale è A, ovvero il livello di tecnologia È abbastanza semplice vedere in quanti ambiti lo sviluppo tecnologico ci abbia aiutati a produrre di più, prendiamo per esempio gli Stati Uniti e la percentuale di lavoratori impiegati in agricoltura. Perché l’agricoltura? L’agricoltura è alla base del mantenimento dei lavoratori in altri settori dell’economia, significa poter sfamare una percentuale più grande di persone impiegate in altri settori. Perché gli Stati Uniti? Perché rimangono un grosso produttore di beni alimentare, quindi si può escludere un possibile effetto specializzazione. Migliora la qualità dei prodotti che consumiamo. Prendiamo per esempio le auto, negli ultimi 50 anni la loro mortalità, misurata, nel caso degli Stati Uniti, in numero di decessi ogni 100 milioni di miglia guidate, è passata da 5.1 a 1.5. Sicuramente molti fattori hanno contribuito al raggiungimento di questo risultato, però il miglioramento tecnologico è stato fondamentale. Spesso contribuisce alla velocizzazione dello sviluppo tecnologico Tralasciando le modalità con cui si innova, se la tecnologia è general purpose o se l’innovazione sia di prodotto o di processo, l’incremento della tecnologia, intesa come stock di conoscenze, ha finora portato ad incremento della velocità con cui se ne introduce di nuova. Questa è la legge dei ritorni accelerati di Kurzweil: per via di un processo di auto valutazione e di effetto composto la crescita tecnologica assume un andamento esponenziale. Noi, come essere umani, facciamo fatica ad immaginarci un aumento della velocità di crescita tecnologica e, dato che la nostra memoria è molto recente, arriviamo ad assumere che sia lineare. In realtà se guardiamo alla storia dell’umanità non sembrerebbe essere così, pur essendo su questo pianeta da 400.000 anni il grosso dello sviluppo (che per adesso riusciamo a cogliere) è avvenuto negli ultimi 200. Perché l’Intelligenza Artificiale? Abbiamo scelto di parlare di questo tema per due ragioni principali, la prima è che è l’argomento del momento (gioco di parole non voluto) e vogliamo capirci qualcosa, la seconda è che l’Intelligenza Artificiale è un’invenzione che ha ed avrà dei risvolti interessantissimi in ambito sociale ed economico. Da persone senza una formazione in ambito scientifico cercheremo di fare, al meglio delle nostre capacità, un’indagine su quelli che sono e saranno i suoi effetti sull’uomo. Si andrà nel passato, analizzando ciò che è già successo nella storia, in particolare guardando alle tecnologie general purpose, come l’elettricità e lo sviluppo dei computer. Muovendoci verso l’epoca attuale passeremo ad analizzare quali effetti ha già prodotto in ambito informatico, ad esempio i sistemi esperti, e se l’intelligenza artificiale possa essere considerata come un continuo di quella informatica oppure come un qualcosa di diverso. Vedremo gli effetti a breve termine dell’Ai sul lavoro, come ad esempio l’automatizzazione dei processi produttivi e l’introduzione dei co-pilot, sull’apprendimento, sulla distribuzione della ricchezza e sulla misurazione dell’economia. Per finire guarderemo al futuro con l’obiettivo di capire quali possono essere gli effetti a lungo termine sull’umanità, dalla demografia all’integrazione con il cervello umano.
Quanto costa sanguinare
Vi siete mai chiesti come facciamo a smettere di sanguinare dopo esserci tagliati? È un processo abbastanza complicato, ma alla cui base c’è un solo protagonista: le piastrine. Queste piccole cellule funzionano come un tappo su una ferita, arginando il sanguinamento. Per far ciò, le piastrine hanno bisogno di unirsi tra loro – in termini medici, di aggregare. Ma cosa succede quando le piastrine non funzionano? Esistono alcune malattie in cui le piastrine vengono prodotte in modo inadeguato in termini quantitativi o qualitativi, determinando difetti nel processo in grado di arrestare la perdita di sangue. Sembra un problema banale ma, se l’entità del sanguinamento fosse più cospicua di un semplice taglietto, si potrebbe potenzialmente rischiare la vita… motivo per cui bisogna correre ai ripari. In che modo? Una delle possibili terapie per far fronte a queste patologie è rappresentata da periodiche trasfusioni di piastrine. Queste funzionano più o meno come delle comuni trasfusioni di sangue, ma in questo caso si procede a separare i componenti del sangue contenuti nella sacca donata per utilizzare solo la parte necessaria al paziente, facendo sempre attenzione che ci sia compatibilità tissutale tra chi dona e chi riceve. Sembra un procedimento semplice e anti-spreco, vero? E invece no. Il problema principale delle trasfusioni di piastrine è la loro labilità: una volta separate dal resto del sangue, devono essere conservate a 22°C in modo tale da non indurre il processo di aggregazione ancor prima di essere trasfuse, ma a questa temperatura sono esposte ad un forte rischio di contaminazione batterica, motivo per cui dopo solo 5 giorni risultano inutilizzabili. Per di più il rischio di aggregazione non le rende idonee al trasporto né in ambulanza, né in aereo, né in elicottero. Sembra un problema insolubile, ma forse esiste uno spiraglio di luce in fondo al tunnel. Nel 2012 il premio Nobel giapponese Shinya Yamanaka ha scoperto infatti delle cellule chiamate iPS (induced Pluripotent Cells), ovvero cellule staminali prodotte a partire da cellule mature del nostro corpo (della pelle ad esempio): in laboratorio le iPS vengono ulteriormente modificate per ottenere piastrine artificiali, ex vivo, trasfondibili senza necessità di donatori, trasporti o laboriose procedure di conservazione. Questa scoperta potrebbe permettere di ovviare il problema della scarsa reperibilità di piastrine da trasfondere, ma c’è prima un altro cavillo da risolvere. La procedura di produzione di piastrine da cellule iPS ha infatti un costo non indifferente: un batch di iPS, contenente circa 500 mila cellule, costa poco meno di due mila dollari, ai quali bisogna aggiungere i costi dei salari, del materiale utilizzato e dei macchinari di laboratorio tanto sofisticati quanto cari… Una sacca di piastrine da donazione, d’altro canto, contiene circa 320 miliardi di piastrine, a fronte di un costo alla Sanità che va dai 400 ai 1000 dollari. Risulta chiaro il motivo per cui gli ospedali preferiscano avvalersi della seconda opzione, specie a seguito delle perdite economiche subite durante la crisi pandemica. La pandemia di COVID-19 ha inoltre drasticamente impattato la ricerca in questo campo: i finanziamenti disponibili sono infatti stati dirottati verso la produzione di terapie per contrastare il virus. Al contempo, però, la crisi sanitaria ha esacerbato le difficoltà di repere dei donatori di sangue, importantissimi per le terapie di plasmaferesi anti-Covid, riportando l’attenzione sulla necessità di produrre ex vivo componenti sanguigni trasfondibili per far fronte alla penuria di donazioni. La produzione ex vivo di piastrine permetterebbe per di più di abbattere il problema della compatibilità tra donatore e ricevente tramite prelievo delle cellule iPS direttamente dal paziente, oltre che ovviare il problema etico dell’utilizzo delle cellule staminali ottenute dai cordoni ombelicali. Scopriremo in futuro se questa frontiera avrà successo, nel frattempo, però, fate attenzione a non tagliarvi. Fonti https://www.bccresearch.com/market-research-report/biotechnology/induced-pluripotent-stem-cells-report.html#:~:text=The%20global%20induced%20pluripotent%20stem,9.1%25%20from%202023%20to%202028. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7804213/ https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC10194644/ https://www.avvenire.it/vita/pagine/yamanaka-le-mie-staminali-da-nobel https://www.alstembio.com/web/product_list.php?category=Human_iPS_Cell_Lines
Economia nel calcio
Quanto erano belli i tempi in cui nel fine settimana ci si organizzava con amici e parenti per seguire le partite di calcio. I pranzi della domenica affrettati perché “dai che tra poco c’è il calcio d’inizio”. Una sensazione di nostalgia che però mostra solo come il calcio ma anche tutti gli sport, stiano vivendo da anni il passaggio da semplice disciplina atletica a vero e proprio spettacolo di intrattenimento. E si sa, lo show business ha le sue regole. L’arrivo delle tv private Com’era quindi il calcio in tv? Un tempo, per l’Italia si giocava tutti la domenica alle 14:30 o le 15 a seconda del periodo dell’anno con la possibilità che una partita, tra squadre con più seguito, giocasse la sera di domenica o il sabato prima. Questo modo di giocare era utile, perché metteva meno ai calciatori la pressione del risultato di un avversario che aveva già giocato e magari li aveva scavalcati in classifica. Per le altre nazioni era circa lo stesso, solo che al posto della domenica c’era il sabato, che da noi era riservato alla Serie B, giusto per praticità. A partire dagli anni ’90 qualcosa è cambiato, le tv a pagamento fecero il loro ingresso dirompente sul mercato ed il calcio si ritrovò in tv. Sì perché prima le partite non le si seguiva tramite una tv, ma alla radio con i cronisti presenti allo stadio che raccontavano quello che stava succedendo. O tramite i programmi in tv che sempre con la stessa modalità raccontavano gli eventi in diretta. Chi aveva la voglia di vedere quello che stava succedendo aveva una sola strada, saltare in macchina e comprare un biglietto per andare allo stadio. Altrimenti, aspettare il pomeriggio per gustarsi sulla Rai il programma “90esimo minuto” dove venivano mostrati tutti i goal e le azioni salienti della giornata sportiva. Ma quindi cosa cambiò 30 anni fa? Fino agli anni ’80, non esisteva ancora il concetto di “diritti televisivi” per le partite di Serie A era possibile seguire le partite solo nel modo raccontato in precedenza. L’istituzione giuridica che permise di trasmettere in diretta le partite in chiaro iniziò nel 1980 su base di quello usato in altri paesi. Da quel momento alcune partite, grazie all’accordo tra la lega calcio e la Rai apparvero sulla tv programmi come il già citato “90esimo minuto” e molti approfondimenti sul settore. La vera rivoluzione era però in attesa di compiersi. Nel 1993 la società privata con i propri canali Tele+ si interessò all’acquisto dei diritti televisivi, ma non sarebbero stati a disposizione di tutti come sulla Rai, ma solo di fosse disposto a pagare un abbonamento. Iniziò allora la differenziazione tra diritti criptati e diritti in chiaro. Da quel momento in poi ogni 3 o 5 anni venivano indette gare per l’assegnazione dei diritti criptati di trasmissione al miglior offerente. Quando gli interessati erano in più di una azienda, come per qualsiasi bando l’offerta si alzava e questo permetteva di far incassare più soldi alle società sportive. Come sono distribuiti i ricavi televisivi Il 50% del ricavato viene diviso equamente tra i club iscritti al campionato, il 20% viene assegnato in base a quanto è stata seguita una squadra, per via televisiva secondo i dati auditel Auditel (8%) e all’affluenza allo stadio (12%), modo in cui si riesce a capire quanto una squadra abbia seguito ed influenza. Per ultimo il 30% viene assegnato sulla base dei risultati sportivi, ovvero del piazzamento in classifica, dei punti ottenuti, dei risultati negli ultimi cinque campionati. La spartizione è regolata dalla Legge Melandri con varie riforme e aggiustamenti successivi. In termini monetari, di che cifre si sta parlando? Come è visibile dal grafico seguente, siamo partiti come valori dei ricavi di circa 60 milioni di euro (considerando i dati in lire), arrivando al picco di 973 milioni di euro per il triennio 2018-2021. A seguito del quale si è verificata una flessione dell’offerta per i maggiori costi che le società distributrici devono affrontare. Nella seguente tabella invece vediamo quanto siano i ricavi delle maggiori squadre di serie a derivanti dalle più varie fonti confrontate con quelle delle maggiori squadre del campionato inglese di Premier League. il secondo mostra per la stessa stagione scelta per il confronto un ammontare totale dei ricavi superiore al doppio di quello del campionato italiano. Serie A 2020/21 Premier League 2020/21 Juventus 437,5 Manchester City 689,6 Inter 356,4 Manchester United 598 Milan 232,6 Liverpool 589,8 Roma 194,8 Chelsea 526,2 Napoli 174,5 Tottenham 437,9 Lazio 164,7 Arsenal 397,2 TOTALE 1560,4 TOTALE 3238,7 In questi numeri, qual è il contributo dei diritti televisivi? La distribuzione percentuale è molto variabile, andando dal 10% al 25%, per via che nei ricavi vengono considerati anche quelli derivanti dalla compravendita dei cartellini degli atleti i cui prezzi sono del tutto aleatori. Per quale motivo si è presa come riferimento la Premier League? Perché nello stesso anno in cui la Serie A riusciva a toccare il suo picco di ricavi dai diritti televisivi, il campionato inglese garantiva ricavi in premi per le squadre per un totale di oltre 3 miliardi di euro, cifra di gran lunga superiore ai 973 milioni del campionato nostrano. Con un ricavo medio delle singole squadre partecipanti di circa 160 milioni di euro. Questo valore è pari al doppio di quanto il vincitore del campionato di serie A incassi della quota dei 973 milioni, cioè 80 milioni di euro. I maggiori guadagni sono segnale non solo del fatto che il campionato italiano abbia meno seguito, cosa del tutto comprensibile nello sport, ma che le squadre dei campionati esteri hanno maggiori risorse. Questo business ha ancora dei margini di sostenibilità o è destinato a soccombere schiacciato dai suoi stessi costi? Se i club in passato prima dell’arrivo delle televisioni private e della spettacolarizzazione dello sport si trovavano a dover sostenere costi di gestione più bassi, ora hanno necessità di massimizzare gli incassi cercando anche di diversificare le fonti, per cercare di raggiungere il livello di ricavi che permetterebbe di reinvestire nell’aumento della qualità
Emilia terra di unicorni: il caso Bio-on
Mentre penso che ognuno di noi abbia almeno una vaga idea di cosa sia accaduto a Parmalat, uno dei più noti casi di frode finanziaria e contabile nella storia aziendale italiana, ritengo che meno conosciuto, ma altrettanto interessante sia il caso Bio-on, l’unicorno emiliano della bioplastica. Le udienze per il caso Bio-on sono tutt’ora in corso, in particolare nell’anno che si è appena concluso è entrato nel vivo il processo a carico del fondatore e presidente Marco Astorri, del suo vice Guido Cicognani e di altri sette, tra dirigenti aziendali e revisori dei conti, accusati di diversi reati, tra cui bancarotta fraudolenta impropria, distrazione, manipolazione del mercato e tentato ricorso abusivo al credito. Prima però di avventurarsi nelle cause che hanno portato a tale epilogo e al motivo per cui il caso venga ad oggi associato a quello più noto dell’industria casearia, reputo necessario ripercorrere la storia del primo “unicorno” emiliano. La storia Era il 2006, quando Marco Astorri, grafico pubblicitario, gestendo una fornitura di skypass sulle Dolomiti, si trova di fronte a una sfida inaspettata. Il problema, sebbene apparentemente semplice, era insormontabile: cercare un materiale biodegradabile adatto per gli skypass, ma che non fosse né plastica, per non inquinare le piste, né carta, che bagnandosi avrebbe compromesso il corretto funzionamento del dispositivo. Dopo notti insonni a cercare possibili soluzioni e l’aver attraversato l’oceano per acquistare i brevetti ad Honolulu, Bio-on nasce nel 2007 come intellectual property company, avente sede a Bologna, con l’obiettivo, per far fronte al problema dell’inquinamento da plastica, di riuscire a produrre a livello industriale il Pha, che fa parte della famiglia delle c.d. bioplastiche. Nel 2014 la start-up si quotò in borsa sul listino AIM e nel corso del 2018, il valore del titolo registrò un repentino aumento, passando da 31 a 71 euro entro la fine di luglio e portando la capitalizzazione di mercato oltre il miliardo di euro. Bio-on diventò così l’unicorno delle bioplastiche e per circa un anno il valore nominale si mantenne stabile, ma a seguito delle accuse avanzate dal fondo americano Quintessential, il titolo crollò inesorabilmente. Nel video-denuncia, infatti, Gabriele Greco, rappresentante del fondo, accusò la società emiliana di essere una “grande bolla basata su tecnologia improbabile, con crediti e fatturato simulati”. In aggiunta, il fatto che Bio-On non avesse ancora effettivamente prodotto o venduto quasi nulla ulteriormente compromise la già precaria situazione finanziaria. Nonostante l’aumento del valore del titolo, infatti, il prodotto di Bio-on aveva dimostrato di non essere adatto alla produzione su scala industriale a causa degli elevati costi di fabbricazione, che avrebbero inevitabilmente influito sul prezzo finale, compromettendo la competitività del prodotto. Inoltre, dopo le accuse emerse che le tecnologie e i brevetti alla base del prodotto risalivano addirittura al 1926; erano perciò obsolete e di efficacia discutibile. Le dichiarazioni di Quintessential, nonostante fosse esplicitato che il fondo avesse un interesse economico nella caduta delle azioni, ebbero ovviamente un impatto significativo sul mercato, causando la perdita di oltre 700 milioni di capitalizzazione e portando la Consob a sospendere il titolo dalle contrattazioni. In breve tempo questo subì una diminuzione dell’82% del suo valore di mercato, i ricavi crollarono, e poco dopo, quando le perdite superarono i 10 milioni di euro il titolo venne definitivamente sospeso dalla contrattazione. La rilevazione di potenziali illeciti contabili ha determinato l’avvio di un’azione di accertamento promossa d’ufficio dal Tribunale di Bologna, e a seguito dell’indagine svolta dalla Guardia di Finanza si è evidenziata una serie di operazioni societarie tese esclusivamente a creare entità fittizie, note come “scatole vuote“, con lo scopo di legittimare transazioni interne al gruppo societario, come l’acquisto di licenze, a favore della casa madre. Parallelamente, si è riscontrata una strategia di alterazione dei dati contabili mirata a far apparire come raggiunti gli obiettivi aziendali e finanziari. L’obiettivo finale di tali manovre, originariamente riconducibili a finanza straordinaria e poi tradotte in termini contabili, era di sostenere il valore azionario di Bio-on. Il 20 dicembre 2019 è stata dichiarata la bancarotta di Bio-On e, come annunciato dal Tribunale Fallimentare, tutti gli asset di Bio-On, compreso il sito produttivo di Castel San Pietro Terme, il portafoglio di brevetti e marchi, le partecipazioni azionarie, la tecnologia fermentativa, i beni mobili, le attrezzature e le scorte di magazzino, sono stati messi all’asta in un unico lotto per essere poi rilevati da Haruki S.p.A . Plastic Bubble e Parmalat La vicenda “Plastic bubble” viene, come anticipato, spesso accostata al caso Parmalat; non a caso lo stesso video-denuncia di Greco si intitola “Bio-on S.p.A.: Una Parmalat a Bologna?”. Alcune similitudini si possono riscontrare fin da subito dopo la quotazione, in modo simile a quanto accaduto con Bio-On, Parmalat ha adottato una strategia di crescita basata su acquisizioni internazionali, finanziando prevalentemente queste operazioni attraverso l’emissione di obbligazioni sul mercato. Tuttavia, le acquisizioni effettuate erano solo marginalmente correlate con l’attività principale di Parmalat e contribuivano in modo limitato alla sua espansione. Spesso coinvolgevano imprese di grandi dimensioni in difficoltà, che aumentavano il fatturato del Gruppo, ma al contempo amplificavano le perdite operative, occultate attraverso la sistematica manipolazione dei bilanci. Come osservato sia in Parmalat che in Bio-On, la dirigenza aziendale ha adottato una pratica di creazione di “scatole vuote” o imprese “operativamente improduttive” per presentare una percezione distorta di crescita ed efficienza. Nonostante l’annuncio di ambiziosi progetti e partnership con aziende multinazionali, come IKEA,o all’avanguardia nella ricerca nel periodo 2015-2019, Bio-On non ha registrato progressi significativi. L’obiettivo sembrava concentrarsi principalmente sulla creazione di società affiliate con contratti di licenza per la propria tecnologia, generando entrate principalmente attraverso operazioni interne al gruppo. In analogia a Bio-On, Parmalat, prima del suo default, ha continuato a contrarre consistenti operazioni di debito quasi mensili, con importi superiori a cento milioni di euro, comportando elevati costi in termini di commissioni e interessi. L’indebitamento è così cresciuto in modo esponenziale dal 1990 al 2003. Le distrazioni di rilevanza erano finalizzate a coprire debiti personali, sostenere aumenti di capitale per mantenere il controllo sulla società quotata e fornire supporto alle società affiliate nel settore