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Real World Assets

ASSET TRADIZIONALI SULLA BLOCKCHAIN – IL FUTURO? Gli asset di cui andremo a parlare in questo articolo rispecchiano in toto tutto quello su cui può investire l’essere umano al giorno d’oggi: dal classico titolo di stato fino alle royalties degli autori, dagli immobili fino alle stock option. Come possiamo però rendere “future-proof” tutto questo? La risposta molto probabilmente è già nel titolo: la Blockchain. COS’E’ LA BLOCKCHAIN? Per farla breve e senza usare paroloni, immaginate di avere un registro digitale, immutabile e permanente che tiene appuntate tutte le operazioni e/o transazioni, e in esse le informazioni, che sono state in esso compiute dai cosiddetti “contratti intelligenti” ed elaborate dai “validatori”. Il tutto viene poi trasformato in stringhe di codici alfanumerici per rendere più sicure e trasparenti queste informazioni. Vige infatti il principio della “verità crittografica”, ovvero il principio nel quale il codice con cui è stata costruita la blockchain funziona senza bisogno di garanzie e fiducia di terzi (CHAINLINK BLOG). COME POSSIAMO INTEGRARE GLI ASSET SULLA BLOCKCHAIN? Ovviamente, per ogni tipo di asset, varierà il meccanismo con cui viene integrato nella blockchain e reso disponibile a tutti. Faremo quindi due esempi che vengono dalle idee uscite in questi ultimi tempi: uno per un asset finanziario, il classico titolo di stato, e uno per un asset reale, ovvero un immobile. Partiamo dal titolo di stato. Siccome siamo (orgogliosamente) italiani, utilizzeremo il nostro amato BTP. All’emissione, si effettuerà la classica asta dove vengono raccolti capitali tramite gli ordini effettuati sul MOT dalle Società di Investimento o dalle banche. Contestualmente, vengono emessi i “Token” sulla blockchain, ovvero delle rappresentazioni digitali del titolo che garantiscono all’investitore la proprietà dell’asset e, di conseguenza, tutti i diritti e i doveri che quell’asset permette di esercitare una volta acquistato. Ora invece passiamo all’immobile, e per questo esempio prenderemo una villetta bifamiliare. Normalmente, il futuro proprietario di un immobile deve eseguire dal notaio l’atto che ne attesterà la sua proprietà, pagandolo migliaia di euro e rimanendo schiavi della burocrazia di queste procedure. Con la Blockchain è il Token che attesta la proprietà viene acquistato dal futuro proprietario. Egli si ritroverà nel proprio portafoglio virtuale (o wallet) questo asset digitale che automaticamente, al momento dell’acquisto, attribuisce al proprietario tutti i diritti e i doveri che sono garantiti normalmente quando si possiede un immobile di questo tipo. Il proprietario poi potrà decidere se rivenderlo tutto o, essendo in questo caso la rappresentazione di una villa bifamiliare, venderne metà per concedere ad un’altra famiglia di abitare nell’altra metà della sua proprietà. Può anche decidere di dare in affitto questa metà, rimanendo proprietario della villa intera e incassando una rendita immobiliare. CHE VANTAGGI E SVANTAGGI CI SONO? NON E’ TROPPO COMPLICATO? I vantaggi principali sono evidenti: snellire la burocrazia e i costi annessi aumentare la tracciabilità e la sicurezza delle operazioni aumentare la scalabilità permettendo un’esecuzione delle compravendite più veloce aumentare ed unificare maggiormente la liquidità del mercato Attualmente, con le regolamentazioni stringenti in vigore, bisogna considerare l’aspetto normativo di questo sistema: non è infatti presente, al giorno d’oggi, alcuna direttiva o regolamento che definisca anche solo la modalità di utilizzo della Blockchain negli ambiti più importanti e di maggior impatto come la finanza. Tuttavia, come ci si poteva aspettare, gli ultimi regolamenti che vengono fatti riguardano l’antiriciclaggio e il tentativo (quasi inutile) di arginare l’operatività malevola e criminale. Gli altri possibili svantaggi possono essere il rischio e la complessità di questa nuova tecnologia. Va però detto che, prima della bolla Dot-Com in cui Internet era la nuova tecnologia dirompente, questi svantaggi andranno man mano a scomparire con l’adozione di massa e il passare del tempo. Le persone, infatti, si adatteranno ai nuovi standard di tecnologia, una volta adottata su larga scala, come hanno fatto con Internet e i PC. IN CONCLUSIONE Ci si può aspettare sicuramente un avanzamento prorompente di questi asset nella Blockchain. I primi esperimenti sono già iniziati da anni e, negli ultimi mesi, le banche centrali e i grandi fondi d’investimento stanno investendo i loro capitali per poter offrire questo tipo di prodotti ai propri clienti. Un esempio è proprio Bankitalia che, l’anno scorso, ha emesso i primi bond sulla blockchain Algorand. FONTI https://www.chainalysis.com/blog/asset-tokenization-explained/#risks https://blog.chain.link/what-is-cryptographic-truth/ https://blog.chain.link/real-world-assets-rwas-explained/ https://www.nasdaq.com/articles/how-is-rwa-real-world-asset-tokenization-disrupting-industries

GREEN IS THE NEW BLACK: 50 SFUMATURE DI BOND.

Ora che abbiamo capito cos’è la finanza verde e la finanza sostenibile, esploriamo i tipi di investimento verdi più utilizzati. GREEN BOND I green bond hanno fatto la loro prima comparsa nel 2007, quando istituzioni multilaterali come Banca Europea per gli Investimenti (BEI) e Banca Mondiale li hanno emessi nel mercato con rating AAA. Inizialmente il mercato ha mostrato una crescita lenta per quasi un decennio ma poi ha iniziato a decollare, superando il valore di 500 miliardi di dollari nel 2021. Ad oggi i green bond rappresentano lo strumento verde più diffuso. Ma cosa sono esattamente i green bond e come funzionano? Le obbligazioni verdi funzionano come normali obbligazioni, quindi gli investitori devono tenere conto dei rischi finanziari tipici dello strumento obbligazionario tradizionale. Ciò che le distingue è che la loro emissione è vincolata al finanziamento esclusivo di progetti o attività che hanno un impatto positivo sul clima e sull’ambiente, questo vincolo è spesso definito tramite un quadro di riferimento chiamato “use of proceeds” (uso dei proventi), che stabilisce le categorie di progetti idonei al finanziamento SOCIAL BOND Il mercato dei social bond è più recente rispetto a quello dei green bond; tuttavia, la pandemia ha fatto crescere rapidamente il loro mercato, portando le emissioni da 17 miliardi di dollari nel 2019 a 132 miliardi di dollari nel 2020. Per qualificarsi come sociali, i proventi dei social bond devono finanziare esclusivamente progetti o iniziative che affrontano o mitigano uno specifico problema sociale, con l’obiettivo di generare un effetto sociale positivo. I social bond si concentrano principalmente sui settori chiave come la  salute, l’istruzione e l’inclusione sociale. SUSTAINABILTY LINKED BOND Le obbligazioni sostenibili a differenza delle precedenti non finanziano progetti specifici ma piuttosto progetti generali che supportano l’obiettivo della sostenibilità. All’interno delle obbligazioni sostenibili troviamo una sottocategoria le sustainabillity-linked bond, questi titoli sono strutturalmente e/o finanziariamente legati al conseguimento di uno degli obiettivi di sviluppo sostenibili dell’agenda 2030 dell’ONU. Ad esempio, possono includere una clausola che indicizza la cedola dell’obbligazione, facendo aumentare o diminuire il valore della cedola stessa in base al progresso verso questi obiettivi. CONCLUSIONI Le obbligazioni verdi, sociali e sostenibili hanno avuto un profondo impatto sul mercato finanziario globale, aumentando la consapevolezza sui temi ambientali e sociali tra gli investitori e gli emittenti. L’emissione di questi nuovi strumenti ha richiesto un nuovo tipo di valutazione della trasparenza, per garantire che i proventi siano effettivamente destinati a progetti “green”, tuttavia per non farvi spoiler, lascio i dettagli per il prossimo articolo. EXTRA: Se siete interessati e volete approfondire il mercato degli investimenti sostenibili, vi lascio il link a questa piattaforma interattiva che vi permette di analizzare vari aspetti del mercato gratuitamente. https://www.climatebonds.net/market/data/ FONTI https://www.pimco.it/it-it/resources/education/understanding-green-social-and-sustainability-bonds/ https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20230929IPR06139/green-bond-approvato-nuovo-standard-ue-per-contrastare-il-greenwashing#:~:text=Dal%202007%2C%20il%20mercato%20delle%20obbligazioni%20verdi%20ha,un%20aumento%20del%2075%20%25%20rispetto%20al%202020. https://www.ilsole24ore.com/art/l-anno-social-bond-667percento-nuove-emissioni-ADqCtNCB https://jpmam.ft.com/how-green-social-and-sustainability-bonds-could-change-the-world

HAI VOGLIA DI HAMBURGER O SEI SOLO NOSTALGICO DEL PASSATO?

Ripensando agli anni della scuola materna, la mia mente viene avvolta da fotogrammi sereni: un cortile colmo di bambini sorridenti, il parco giochi in cui mi sono ritrovata con i miei amici fino a quando siamo diventati troppo alti per salire sulle altalene, le verdure raccolte dall’orto che coltivavamo in giardino… Qualche giorno fa, però, ho casualmente accennato questo discorso con mia madre e con mia grande sorpresa lei mi ha ricordato che a quei tempi per me il mondo non era tutto rose e fiori: ogni mattina prima di salire sul pullman diretto verso l’asilo si susseguivano lacrime e richieste di rimanere a casa. Sembrava quindi che il mio cervello avesse conservato una visione distorta di quel periodo, ponendo una maggiore enfasi sui ricordi positivi ed erodendo lentamente quelli meno piacevoli. Anche a te sarà successo almeno una volta di ripensare al passato in maniera nostalgica; accade un po’ a tutti. Basta pensare ai nonni e alla loro frase ricorrente “ai miei tempi si stava meglio” o al celebre film di Woody Allen intitolato Midnight in Paris, nel quale il protagonista Gil Pender afferma che “… La nostalgia è negazione, negazione di un presente infelice. E il nome di questo falso pensiero è: sindrome epoca d’oro, cioè l’idea errata che un diverso periodo storico sia migliore di quello in cui viviamo. Vedete, è un difetto dell’immaginario romantico di certe persone che trovano difficile cavarsela nel presente …” .1 Il neuromarketing L’argomento su cui vorrei focalizzarmi riguarda la campagna pubblicitaria messa in atto pochi mesi fa da Mc Donald’s in 100 diverse nazioni, dal nome “As Featured In”. La catena di fast food ha infatti reso disponibile un menù speciale composto da alimenti emblematici di Mc Donald’s apparsi in film, canzoni e serie tv che ormai fanno parte a pieno titolo della pop culture, tra cui la serie tv The Office (“Michael Scott loves Filet-O- Fish”), il film di fantascienza Fifth Element, l’iconico dialogo tra Vincent Vaga e Jules Winnfield in Pulp Fiction, scene di Loki, Friends, Fast and Furious, Coming to America, Space Jam e molti altri. Ma cos’hanno in comune la mossa pubblicitaria di Mc Donald’s, i miei pianti all’asilo, i ricordi di mio nonno e un intenso monologo cinematografico? Semplice: il sentimento della nostalgia, o più precisamente il cosiddetto bias della nostalgia o retrospettiva rosea. Si tratta di un fenomeno psicologico per cui le persone tendono a giudicare il passato in modo più roseo di quanto giudichino il presente (o come avrebbero detto i nostri antenati latini, memoria praeteritorum bonorum)2. Perché il nostro sistema nervoso mette in atto questo bias cognitivo? Probabilmente perché la semplificazione dei ricordi implica la necessità di una minore quantità di connessioni neurali per immagazzinarli e recuperarli al momento opportuno. Così come in un computer vengono rimossi i dati superflui per evitare di occupare memoria inutilmente, allo stesso modo agisce la nostra mente. Ma il motivo di ciò non è esclusivamente fisiologico: esiste anche una ragione legata al benesserepsicologico. In un mondo in continua e rapida evoluzione, ogni certezza sembra scivolare tra le mani come sabbia, ed è inevitabile che si crei un sentimento di angoscia dovuto all’impossibilità di ancorarsi a qualcosa che rimanga così com’è. Internet, social networks, intelligenza artificiale, sono solo alcune delle rivoluzioni tecnologiche che hanno permeato la società negli scorsi decenni, stravolgendo il modo di vivere ormai consolidato dei nostri predecessori. A un presente incerto e tentennante, la mente umana controbatte con la propensione a rifugiarsi in sentimenti, sensazioni ed esperienze già vissuti, in modo da ricevere una confortante rassicurazione, anche a costo di manipolare i ricordi stessi. I Bias Avendo introdotto le motivazioni psicofisiche di questo fenomeno, posso ora concentrarmi sull’obiettivo della mia analisi: esplorare questo esempio di neuromarketing (disciplina volta all’individuazione di canali di comunicazione diretti ai processi decisionali d’acquisto, mediante l’utilizzo di metodologie legate alle neuroscienze 3 ), analizzandone le caratteristiche e l’effetto sui consumatori. Come vedremo, quella attuata da Mc Donald’s si rivelerà una strategia efficiente (e no, non è uno spoiler, in quanto bisognerebbe vivere in una grotta isolata per non accorgersi del fatto che questa azienda ha costruito un vero e proprio impero partendo da zero). “Due minuti // La strada prima che sia troppo tardi per cambiare idea”. I fan più accaniti avranno riconosciuto il testo di una canzone di Calcutta, nella quale sono sufficienti due minuti per cambiare lo stato d’animo del narratore. Ecco, per quanto riguarda la nostra vita quotidiana, è stato studiato che in media ciascuno di noi impiega non due minuti, bensì solo due secondi per giudicare una scelta di acquisto; è perciò fondamentale per il venditore saper sfruttare bene lo scarso tempo che ha a disposizione per imprimersi in modo eternamente positivo nell’immaginario del consumatore. Senza dubbio fare ciò non è semplice, tuttavia esiste un trucco che può agevolare questo processo: sfruttare i bias cognitivi. Di cosa si tratta? Nell’intricata selva oscura di tutte le possibili scelte quotidiane, il nostro cervello svolge il ruolo di Virgilio nella selva oscura dantesca, dovendoci guidare senza esitazione verso la metaforica uscita, ossia verso la decisione finale. A differenza di Virgilio, però, la nostra guida non è invulnerabile: può essere influenzata e guidata verso direzioni differenti. Tali influenze, note come bias cognitivi, sono in grado di plasmare le nostre opinioni senza che noi ce ne accorgiamo, e questo rappresenta un notevole punto di forza per il neuromarketing. I bias sono deviazioni sistematiche dalla realtà oggettiva, che rendono il processo decisionale vulnerabile a distorsioni e pregiudizi inconsapevoli. La chiave di questo stratagemma (che è lo stesso adottato da Mc Donald’s) risiede nella capacità di connettere in modo indissolubile i propri prodotti agli stati emotivi positivi associati a periodi di vita passata. Il neuromarketing pertanto propone un vero e proprio viaggio nel tempo, che catapulta il consumatore in un’oasi di nostalgia. Ovviamente, questo viaggio è condensato in meno di due secondi! Questa strategia di marketing si rivela essere un approccio intelligente ed efficace per fidelizzare il consumatore, innescando in lui una risposta

GREEN IS THE NEW BLACK 

THERE IS NOT A PLAN B BECAUSE THERE IS NOT A PLANET B Facciamo un breve salto indietro nel tempo, Il 4 novembre del 2016 entra in vigore l’accordo di Parigi, Il primo accordo vincolante a livello globale sul cambiamento climatico firmato da 196 stati in occasione della COP21. Questo accordo definisce un quadro generale per la gestione dei cambiamenti climatici e si articola su tre punti fondamentali: Una sollecitazione globale per contenere l’aumento della temperatura globale media a 1.5°; La necessità di adattarsi agli impatti negativi e a proseguire uno sviluppo a basso consumo di gas serra; L’importanza di rendere i flussi finanziari coerenti con un percorso che conduca a uno sviluppo a basse emissioni di gas serra. In questo contesto la finanza sostenibile emerge come uno strumento per tradurre gli obiettivi dell’accordo di Parigi in azioni concrete. SUSTAINABLE FINANCE AND GREEN FINANCE La finanza sostenibile racchiude tutti i tipi di finanziamento che contribuiscono allo sviluppo sostenibile e si propone di creare valore nel lungo periodo, tenendo in considerazione non solo gli aspetti finanziari ma anche i fattori di tipo ambientale, sociale e di governance (fattori ESG) nel processo decisionale di investimento. Ma in dettaglio cosa sono i fattori ESG? Il fattore ambientale valuta l’impatto delle decisioni aziendali sull’ambiente, prendendo in considerazione le emissioni, l’utilizzo di fonti naturali e le iniziative pro-sostenibilità messe in atto dall’azienda. Il fattore sociale si concentra sulle relazioni che ha l’azienda con gli stakeholder sia interni che esterni, valuta quindi questioni etiche e di responsabilità sociale come il rispetto dei diritti umani, la diversità e l’inclusione. Il fattore Governance riguarda i temi di gestione aziendale, monitora se i comportamenti e le scelte della direzione aziendale perseguono principi etici e di trasparenza. I fattori ESG sono quindi fondamentali per valutare la performance ambientale di un’impresa, concentriamoci ora sulla finanza verde. Finanza Verde La finanza verde è un sottoinsieme della finanza sostenibile e si concentra su due aspetti principali: l’internalizzazione delle esternalità ambientali e la riduzione della percezione del rischio, vediamoli nel dettaglio. Internalizzare le esternalità ambientali significa valutare e integrare i costi ambientali esterni, ad esempio i danni ambientali causati dalle emissioni di un’impresa, nella valutazione finanziaria. Questo può essere realizzato incorporando i costi ambientali nei prezzi dei beni e/o dei servizi, ad esempio attraverso la tassazione delle emissioni come la tassa sul carbonio. Dando incentivi fiscali alle aziende che adottano pratiche sostenibili oppure incentivando l’utilizzo e lo sviluppo di strumenti finanziari innovativi come i green bonds. Mentre ridurre la percezione del rischio significa aumentare la fiducia degli investitori nei progetti sostenibili. Questo può essere ottenuto rendendo le informazioni sugli investimenti sostenibili più chiare e trasparenti e utilizzando standard di certificazione riconosciuti In definitiva l’obiettivo della finanza verde è promuovere investimenti che non solo generano rendimenti finanziari, ma che contribuiscono anche a mitigare i rischi ambientali promuovendo la sostenibilità nel lungo termine. Note https://www.consilium.europa.eu/it/policies/climate-change/paris-agreement/ https://corporatefinanceinstitute.com/resources/esg/esg-environmental-social-governance/ https://www.weforum.org/agenda/2020/11/what-is-green-finance/ https://www.greenfinanceplatform.org/page/explore-green-finance#:~:text=Two%20main%20goals%20of%20green%20finance%20are%20to,over%20business-as-usual%20investments%20that%20perpetuate%20unsustainable%20growth%20patterns. https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1877343523000465  

Economia nel calcio

Quanto erano belli i tempi in cui nel fine settimana ci si organizzava con amici e parenti per seguire le partite di calcio. I pranzi della domenica affrettati perché “dai che tra poco c’è il calcio d’inizio”. Una sensazione di nostalgia che però mostra solo come il calcio ma anche tutti gli sport, stiano vivendo da anni il passaggio da semplice disciplina atletica a vero e proprio spettacolo di intrattenimento. E si sa, lo show business ha le sue regole. L’arrivo delle tv private Com’era quindi il calcio in tv? Un tempo, per l’Italia si giocava tutti la domenica alle 14:30 o le 15 a seconda del periodo dell’anno con la possibilità che una partita, tra squadre con più seguito, giocasse la sera di domenica o il sabato prima. Questo modo di giocare era utile, perché metteva meno ai calciatori la pressione del risultato di un avversario che aveva già giocato e magari li aveva scavalcati in classifica. Per le altre nazioni era circa lo stesso, solo che al posto della domenica c’era il sabato, che da noi era riservato alla Serie B, giusto per praticità.  A partire dagli anni ’90 qualcosa è cambiato, le tv a pagamento fecero il loro ingresso dirompente sul mercato ed il calcio si ritrovò in tv. Sì perché prima le partite non le si seguiva tramite una tv, ma alla radio con i cronisti presenti allo stadio che raccontavano quello che stava succedendo. O tramite i programmi in tv che sempre con la stessa modalità raccontavano gli eventi in diretta. Chi aveva la voglia di vedere quello che stava succedendo aveva una sola strada, saltare in macchina e comprare un biglietto per andare allo stadio. Altrimenti, aspettare il pomeriggio per gustarsi sulla Rai il programma “90esimo minuto” dove venivano mostrati tutti i goal e le azioni salienti della giornata sportiva.  Ma quindi cosa cambiò 30 anni fa? Fino agli anni ’80, non esisteva ancora il concetto di “diritti televisivi” per le partite di Serie A era possibile seguire le partite solo nel modo raccontato in precedenza. L’istituzione giuridica che permise di trasmettere in diretta le partite in chiaro iniziò nel 1980 su base di quello usato in altri paesi. Da quel momento alcune partite, grazie all’accordo tra la lega calcio e la Rai apparvero sulla tv programmi come il già citato “90esimo minuto” e molti approfondimenti sul settore. La vera rivoluzione era però in attesa di compiersi. Nel 1993 la società privata con i propri canali Tele+ si interessò all’acquisto dei diritti televisivi, ma non sarebbero stati a disposizione di tutti come sulla Rai, ma solo di fosse disposto a pagare un abbonamento. Iniziò allora la differenziazione tra diritti criptati e diritti in chiaro. Da quel momento in poi ogni 3 o 5 anni venivano indette gare per l’assegnazione dei diritti criptati di trasmissione al miglior offerente. Quando gli interessati erano in più di una azienda, come per qualsiasi bando l’offerta si alzava e questo permetteva di far incassare più soldi alle società sportive.  Come sono distribuiti i ricavi televisivi Il 50% del ricavato viene diviso equamente tra i club iscritti al campionato, il 20% viene assegnato in base a quanto è stata seguita una squadra, per via televisiva secondo i dati auditel Auditel (8%) e all’affluenza allo stadio (12%), modo in cui si riesce a capire quanto una squadra abbia seguito ed influenza. Per ultimo il 30% viene assegnato sulla base dei risultati sportivi, ovvero del piazzamento in classifica, dei punti ottenuti, dei risultati negli ultimi cinque campionati. La spartizione è regolata dalla Legge Melandri con varie riforme e aggiustamenti successivi. In termini monetari, di che cifre si sta parlando? Come è visibile dal grafico seguente, siamo partiti come valori dei ricavi di circa 60 milioni di euro (considerando i dati in lire), arrivando al picco di 973 milioni di euro per il triennio 2018-2021. A seguito del quale si è verificata una flessione dell’offerta per i maggiori costi che le società distributrici devono affrontare. Nella seguente tabella invece vediamo quanto siano i ricavi delle maggiori squadre di serie a derivanti dalle più varie fonti confrontate con quelle delle maggiori squadre del campionato inglese di Premier League. il secondo mostra per la stessa stagione scelta per il confronto un ammontare totale dei ricavi superiore al doppio di quello del campionato italiano. Serie A 2020/21 Premier League 2020/21 Juventus 437,5 Manchester City 689,6 Inter 356,4 Manchester United 598 Milan 232,6 Liverpool 589,8 Roma 194,8 Chelsea 526,2 Napoli 174,5 Tottenham 437,9 Lazio 164,7 Arsenal 397,2 TOTALE 1560,4 TOTALE 3238,7 In questi numeri, qual è il contributo dei diritti televisivi? La distribuzione percentuale è molto variabile, andando dal 10% al 25%, per via che nei ricavi vengono considerati anche quelli derivanti dalla compravendita dei cartellini degli atleti i cui prezzi sono del tutto aleatori. Per quale motivo si è presa come riferimento la Premier League? Perché nello stesso anno in cui la Serie A riusciva a toccare il suo picco di ricavi dai diritti televisivi, il campionato inglese garantiva ricavi in premi per le squadre per un totale di oltre 3 miliardi di euro, cifra di gran lunga superiore ai 973 milioni del campionato nostrano. Con un ricavo medio delle singole squadre partecipanti di circa 160 milioni di euro. Questo valore è pari al doppio di quanto il vincitore del campionato di serie A incassi della quota dei 973 milioni, cioè 80 milioni di euro. I maggiori guadagni sono segnale non solo del fatto che il campionato italiano abbia meno seguito, cosa del tutto comprensibile nello sport, ma che le squadre dei campionati esteri hanno maggiori risorse. Questo business ha ancora dei margini di sostenibilità o è destinato a soccombere schiacciato dai suoi stessi costi? Se i club in passato prima dell’arrivo delle televisioni private e della spettacolarizzazione dello sport si trovavano a dover sostenere costi di gestione più bassi, ora hanno necessità di massimizzare gli incassi cercando anche di diversificare le fonti, per cercare di raggiungere il livello di ricavi che permetterebbe di reinvestire nell’aumento della qualità

Emilia terra di unicorni: il caso Bio-on

Mentre penso che ognuno di noi abbia almeno una vaga idea di cosa sia accaduto a Parmalat, uno dei più noti casi di frode finanziaria e contabile nella storia aziendale italiana, ritengo che meno conosciuto, ma altrettanto interessante sia il caso Bio-on, l’unicorno emiliano della bioplastica. Le udienze per il caso Bio-on sono tutt’ora in corso, in particolare nell’anno che si è appena concluso è entrato nel vivo il processo a carico del fondatore e presidente Marco Astorri, del suo vice Guido Cicognani e di altri sette, tra dirigenti aziendali e revisori dei conti, accusati di diversi reati, tra cui bancarotta fraudolenta impropria, distrazione, manipolazione del mercato e tentato ricorso abusivo al credito. Prima però di avventurarsi nelle cause che hanno portato a tale epilogo e al motivo per cui il caso venga ad oggi associato a quello più noto dell’industria casearia, reputo necessario ripercorrere la storia del primo “unicorno” emiliano. La storia Era il 2006, quando Marco Astorri, grafico pubblicitario, gestendo una fornitura di skypass sulle Dolomiti, si trova di fronte a una sfida inaspettata. Il problema, sebbene apparentemente semplice, era insormontabile: cercare un materiale biodegradabile adatto per gli skypass, ma che non fosse né plastica, per non inquinare le piste, né carta, che bagnandosi avrebbe compromesso il corretto funzionamento del dispositivo. Dopo notti insonni a cercare possibili soluzioni e l’aver attraversato l’oceano per acquistare i brevetti ad Honolulu, Bio-on nasce nel 2007 come intellectual property company, avente sede a Bologna, con l’obiettivo, per far fronte al problema dell’inquinamento da plastica, di riuscire a produrre a livello industriale il Pha, che fa parte della famiglia delle c.d. bioplastiche. Nel 2014 la start-up si quotò in borsa sul listino AIM e nel corso del 2018, il valore del titolo registrò un repentino aumento, passando da 31 a 71 euro entro la fine di luglio e portando la capitalizzazione di mercato oltre il miliardo di euro. Bio-on diventò così l’unicorno delle bioplastiche e per circa un anno il valore nominale si mantenne stabile, ma a seguito delle accuse avanzate dal fondo americano Quintessential, il titolo crollò inesorabilmente. Nel video-denuncia, infatti, Gabriele Greco, rappresentante del fondo, accusò la società emiliana di essere una “grande bolla basata su tecnologia improbabile, con crediti e fatturato simulati”. In aggiunta, il fatto che Bio-On non avesse ancora effettivamente prodotto o venduto quasi nulla ulteriormente compromise la già precaria situazione finanziaria. Nonostante l’aumento del valore del titolo, infatti, il prodotto di Bio-on aveva dimostrato di non essere adatto alla produzione su scala industriale a causa degli elevati costi di fabbricazione, che avrebbero inevitabilmente influito sul prezzo finale, compromettendo la competitività del prodotto. Inoltre, dopo le accuse emerse che le tecnologie e i brevetti alla base del prodotto risalivano addirittura al 1926; erano perciò obsolete e di efficacia discutibile. Le dichiarazioni di Quintessential, nonostante fosse esplicitato che il fondo avesse un interesse economico nella caduta delle azioni, ebbero ovviamente un impatto significativo sul mercato, causando la perdita di oltre 700 milioni di capitalizzazione e portando la Consob a sospendere il titolo dalle contrattazioni. In breve tempo questo subì una diminuzione dell’82% del suo valore di mercato, i ricavi crollarono, e poco dopo, quando le perdite superarono i 10 milioni di euro il titolo venne definitivamente sospeso dalla contrattazione. La rilevazione di potenziali illeciti contabili ha determinato l’avvio di un’azione di accertamento promossa d’ufficio dal Tribunale di Bologna, e a seguito dell’indagine svolta dalla Guardia di Finanza si è evidenziata una serie di operazioni societarie tese esclusivamente a creare entità fittizie, note come “scatole vuote“, con lo scopo di legittimare transazioni interne al gruppo societario, come l’acquisto di licenze, a favore della casa madre. Parallelamente, si è riscontrata una strategia di alterazione dei dati contabili mirata a far apparire come raggiunti gli obiettivi aziendali e finanziari. L’obiettivo finale di tali manovre, originariamente riconducibili a finanza straordinaria e poi tradotte in termini contabili, era di sostenere il valore azionario di Bio-on. Il 20 dicembre 2019 è stata dichiarata la bancarotta di Bio-On e, come annunciato dal Tribunale Fallimentare, tutti gli asset di Bio-On, compreso il sito produttivo di Castel San Pietro Terme, il portafoglio di brevetti e marchi, le partecipazioni azionarie, la tecnologia fermentativa, i beni mobili, le attrezzature e le scorte di magazzino, sono stati messi all’asta in un unico lotto per essere poi rilevati da Haruki S.p.A . Plastic Bubble e Parmalat La vicenda “Plastic bubble” viene, come anticipato, spesso accostata al caso Parmalat; non a caso lo stesso video-denuncia di Greco si intitola “Bio-on S.p.A.: Una Parmalat a Bologna?”. Alcune similitudini si possono riscontrare fin da subito dopo la quotazione, in modo simile a quanto accaduto con Bio-On, Parmalat ha adottato una strategia di crescita basata su acquisizioni internazionali, finanziando prevalentemente queste operazioni attraverso l’emissione di obbligazioni sul mercato. Tuttavia, le acquisizioni effettuate erano solo marginalmente correlate con l’attività principale di Parmalat e contribuivano in modo limitato alla sua espansione. Spesso coinvolgevano imprese di grandi dimensioni in difficoltà, che aumentavano il fatturato del Gruppo, ma al contempo amplificavano le perdite operative, occultate attraverso la sistematica manipolazione dei bilanci. Come osservato sia in Parmalat che in Bio-On, la dirigenza aziendale ha adottato una pratica di creazione di “scatole vuote” o imprese “operativamente improduttive” per presentare una percezione distorta di crescita ed efficienza. Nonostante l’annuncio di ambiziosi progetti e partnership con aziende multinazionali, come IKEA,o all’avanguardia nella ricerca nel periodo 2015-2019, Bio-On non ha registrato progressi significativi. L’obiettivo sembrava concentrarsi principalmente sulla creazione di società affiliate con contratti di licenza per la propria tecnologia, generando entrate principalmente attraverso operazioni interne al gruppo. In analogia a Bio-On, Parmalat, prima del suo default, ha continuato a contrarre consistenti operazioni di debito quasi mensili, con importi superiori a cento milioni di euro, comportando elevati costi in termini di commissioni e interessi. L’indebitamento è così cresciuto in modo esponenziale dal 1990 al 2003. Le distrazioni di rilevanza erano finalizzate a coprire debiti personali, sostenere aumenti di capitale per mantenere il controllo sulla società quotata e fornire supporto alle società affiliate nel settore

UK e bond vigilantes: governare da investitore retail.

Se è vero che in occidente le proteste non si portano più avanti con forconi e baionetta, le teste cadono ugualmente.

Spesso questo succede a causa di implicazione finanziare, che nel tempo hanno stretto un legame indissoluble con l’economia reale, acquisendo la capacità di variarne il corso. Diventando di fatto una possibile arma di protesta.

I bond vigilantes ce lo possono spiegare.

Quindi: come si butta giù un governo da investitore retail?

Infatti questo è quello che è successo tra settembre e l’ottobre dello scorso 2022 al governo lampo della britannica Liz Truss.

Collasso FTX – Alameda Research

In questo articolo cercheremo di andare a fondo alla questione FTX, cercando di capire cosa è successo al secondo Exchange di criptovalute più importante per volumi. Cercheremo di andare in ordine cronologico per avere un quadro chiaro degli eventi accaduti.   Indice Situazione prima del crollo. Come abbiamo detto sopra, esso era il secondo Exchange centralizzato più importante dopo Binance, soprattutto perché costituiva un punto di riferimento per il trading di derivati. Come ormai tutti i CEX, FTX possedeva il suo token di riferimento, $FTT. Le sue tokenomics e la sua centralità all’interno della piattaforma rispettano più o meno quelle del token di Binance, $BNB. Infatti, detenere i token di FTX comportava sconti sulle fees e altri vantaggi, così come il suo burn avveniva tramite la compravendita degli strumenti presenti sull’Exchange. Va però specificato che BNB ha usecase molto più importanti di $FTT, in quanto ha anche una propria blockchain. Abbiamo anche nominato Alameda Research, ma cosa c’entra in tutto questo? Beh, il CEO di FTX è lo stesso di Alameda. Costui è Sam Bankman-Fried, con un patrimonio che si aggirava intorno ai 15 miliardi di dollari. Alameda si occupava di trading quantitativo sulle criptovalute, ed era uno dei principali investitori del token $FTT. Questo è uno dei punti chiave, in quanto è uno dei principali motivi del caos successo in questi giorni. Di seguito ripercorreremo gli eventi più salienti in ordine cronologico, successivamente faremo un’analisi dettagliata, con operazioni e movimenti, che hanno portato al crollo di FTX. Cosa è successo: 6 Novembre: primo Tweet di CZ (Changpeng Zhao), CEO di Binance Inizia tutto da qui, con un Tweet di Changpeng Zhao. Dichiarava testuali parole: “Inizieremo a liquidare la nostra posizione in $FTT perché non supportiamo le persone che fanno pressioni alle spalle degli altri big player dell’industria”.  Questo ha scatenato un sell-off che ha portato il token a fare un -8%.  A seguito dello spostamento di questi milioni di token, il CEO di FTX (per semplicità lo citeremo come “SBF”) twitta dicendo che CZ sta giocando sporco.  I principali motivi della liquidazione da parte di Binance sono i seguenti: ⦁ Secondo le loro analisi, FTX si era rivelato finanziariamente “instabile” (più avanti nell’articolo scopriremo come e perché) ⦁ Era un’operazione di risk management che voleva evitare gli stessi errori commessi nel caso Terra ($LUNA, $UST). Questo motivo è anche una sorta di accusa molto pesante verso FTX, dato che il crollo dell’ecosistema LUNA è stato molto controverso e presuppone che il suo ideatore, Do Kwon, avesse premeditato tutto e prelevato miliardi di dollari prima del crollo generale. 7 Novembre: SBF cerca di rassicurare tutti La prima risposta non tarda ad arrivare: si dichiara infatti che non ci sono problemi di liquidità e che sono tutti rumors falsi, con alcuni dettagli che poi scopriremo essere non sufficienti. 8 Novembre: il crollo Ironia della sorte, SBF si rimangia tutto e chiama in aiuto Binance, dicendo che lo aiuterà a ricoprire i debiti e i prelievi degli utenti, ringraziando inoltre CZ per il lavoro che ha svolto in questi anni. Questo però non serve a fermare le liquidazioni che stanno avvenendo su $FTT e $SOL prime fra tutte, anche per mano di Alameda, detentore di una grossissima fetta di questi due token. Dopo il soccorso annunciato, Binance si tira indietro dopo aver visto la situazione contabile di FTX. Quest’ultimo infatti, come detto anche da SBF, ha bisogno di un capitale che va dai 5 ai 9 miliardi di dollari, per coprire i debiti e i prelievi degli utenti. Justin Sun si offre come candidato Il creatore della chain TRON si butta nell’affare miliardario, dopo che la Security and Exchange Commission annuncia di iniziare un’investigazione nel caso.  Esso vuole garantire innanzitutto il funzionamento dei prelievi 1:1, facendolo però tramite gli asset della sua chain ($TRX, $USDD, $JST quelli più importanti). Dopo questa notizia, il prezzo di $TRX su FTX vola dai circa 6 centesimi fino ai 4 dollari, significando l’acquisto massiccio degli utenti nella speranza di riuscire a prelevare i loro fondi. Ad ora però, non vi è nulla di concluso. SBF sembra voler ingannare tutti Si teorizza, nei giorni successivi, che il CEO abbia premeditato tutto: si sostiene infatti che abbia aperto una “backdoor” all’interno dei sistemi interni di sicurezza dell’Exchange per poter prelevare fondi senza che gli auditor finanziari se ne accorgessero. Ci sono stati altri episodi come il presunto riciclaggio di denaro che avveniva tramite le donazioni in crypto all’ucraina che investiva su FTX. Non ci addentreremo in questioni politiche, ma le accuse sono molto gravi sotto tutti i punti di vista. Un insider afferma inoltre che gli stipendi ai dipendenti venivano pagati direttamente sulla piattaforma di FTX, e che gli veniva assicurato il fatto che esso fosse sicuro come una banca. Cattiva gestione dei fondi di Alameda. Alameda si definisce come un “market maker e azienda di trading quantitativo”. Era si uno dei principali market maker di FTX, ma il suo “trading quantitativo” era in realtà una procedura molto semplice per cercare utile: investire milioni in blockchain start-up e progetti innovativi nei round di private sale per poi avere un guadagno enorme una volta sviluppati. C’è anche dell’assurdo: in un’intervista di 5 mesi fa, la Co-CEO di Alameda dichiara “non abbiamo grandi strumenti per il risk management e tendiamo a non usare manovre per contenere le perdite (stoploss ndr.). Analisi. Partiamo con quest’immagine, che mostra la supply attiva di $FTT nel tempo. Balza all’occhio un aumento del +124,3% della supply circolante circa 40 giorni prima del caos, per un valore di circa 8,6 miliardi di dollari (al prezzo di corrispondenza). Secondo CoinMetrics, è stato il più grande movimento di $FTT e uno dei più grossi movimenti giornalieri sulla rete ERC-20 che si siano mai registrati. Questo non è un fattore che influisce direttamente sul prezzo dell’asset, in quanto questi token non stati venduti a mercato. Lo influenza però indirettamente, in quanto diluisce $FTT in maniera considerevole, e quindi vi è la persistente possibilità che questi vengano venduti da Alameda

BFT: Byzantine Fault Tolerance

Le blockchain sono network distribuiti dove i partecipanti devono concordare regolarmente sull’attuale stato di essi, ovvero devono raggiungere il consenso. Tuttavia, raggiungerlo in modo sicuro ed efficiente non è affatto facile. La domanda che ci poniamo e che a cui cercheremo di rispondere in questo articolo è: come può un network distribuito di nodi (in questo caso una blockchain) concordare su una decisione se alcuni dei nodi potrebbero fallire, smettere di funzionare o agire in modo malevolo? Il problema dei Generali Bizantini è stato ideato nel 1982. Si tratta di un dilemma logico dove un gruppo di generali bizantini potrebbe avere problemi di comunicazioni quando cerca di accordarsi sulla prossima mossa da fare. Ipotizzando quindi che i generali devono decidere se attaccare o difendersi, l’importante non è cosa facciano ma che raggiungano il consenso, che tutti concordino su una decisione comune per eseguirla in modo coordinato. Gli obiettivi quindi sono: Ciascun generale deve decidere se attaccare o difendersi (si; no); Una volta presa la decisione non si torna indietro; Tutti i generali devono concordare sulla stessa decisione ed eseguirla in modo sincronizzato Il problema è che uno o più generali potrebbero inviare messaggi falsi per confondere gli altri generali, agendo in modo disonesto e causare un fallimento. Applicando il problema al contesto blockchain, ogni generale è un nodo del network ed essi devono raggiungere il consenso sull’attuale stato di sistema. La maggioranza di questi nodi quindi deve concordare ed eseguire la stessa azione in modo coordinato per evitare il fallimento e collasso della blockchain. L’unico modo per raggiungere questo consenso è avere almeno i due terzi dei nodi affidabili. La Byzantine Fault Tolerance, o BFT, è quindi la proprietà del network di resistere ai fallimenti derivanti dal Problema dei generali descritto sopra. Un sistema BFT è in grado di operare anche se alcuni nodi falliscono o agiscono in malafede. Esistono più soluzioni a questo problema, queste soluzioni vengono adottate tramite gli algoritmi di consenso. I più famosi sono il Proof of Work e il Proof of Stake. Li tratteremo nel dettaglio in un nostro articolo dedicato proprio alla ricerca, allo studio e alla comprensione di questi algoritmi, per capire i vantaggi, gli svantaggi che portano ai network dove sono adottati e per capire anche come essi cerchino di risolvere il Blockchain Trilemma. Fonti: https://academy.binance.com/it/articles/byzantine-fault-tolerance-explained

APTOS: progetto bomba o flop?

Indice Cos’è Aptos. Aptos è un rivoluzionario Layer 1 che mira il proprio focus sui pagamenti digitali, sull’integrazione dei propri servizi a livello aziendale e, soprattutto, all’adozione e facilità d’uso. Il progetto viene sviluppato da ex membri di Meta che vorrebbero riproporre uno dei più grandi progetti fallimentari della società: la stablecoin DIEM. Per fare questo, hanno deciso di costruire una blockchain che non mirasse solo alla stablecoin stessa, ma che avesse un digital asset nativo ($APT) con cui pagare le commissioni on-chain. Si definiscono inoltre i “Solana Killer”, mirando a superare di gran lunga i TPS (Transaction Per Second) di quest’ultima. Dei 100mila TPS promessi però non vi è neanche l’ombra; infatti, sono stati raggiunti a malapena 45 TPS. In precedenza, il progetto era riuscito ad accaparrarsi una somma considerevole da alcuni dei più importanti Venture Capital come a16z o DragonFly Capital, mentre con l’attuale rivoluzione hanno raccolto oltre 350mln di dollari anche da Binance e FTX Ventures. La domanda che mi faccio e a cui voglio rispondere in questo articolo è: hanno investito sfruttando la FOMO oppure c’è realmente sostanza dentro questa blockchain? AptosBFT: algoritmo di consenso di Aptos. Partiamo col dire che, pur essendo un Layer 1, Aptos non viene sviluppato su Solidity (linguaggio di programmazione utilizzato per sviluppare su Ethereum) ma su Move. Quest’ultimo venne usato per sviluppare il precedente progetto Diem. Il meccanismo di consenso viene quindi ripreso a quello di Diem (DiemBFT) non solo per il sopracitato motivo, ma anche per il fatto che alcuni sviluppatori di Aptos erano proprio quelli che lavoravano in Meta e avevano creato Diem. AptosBFT si basa su HotStuff, un miglioramento del sistema di consenso PracticalBFT (pBFT). In breve, il primo è il miglioramento del secondo che è il miglioramento del terzo. Il pBFT si basava sulla regola base del Proof of Stake: non avere più di 1/3 di nodi malevoli (al contrario del <50% su Bitcoin). Inoltre, esso introduceva un sistema per cui i nodi venivano classificati in “primari” e “secondari”. Aptos introduce quindi, oltre al già migliorato HotStuff che garantisce un’altissima velocità di comunicazione fra nodi(per questo assicuravano più di 100.000 TPS), velocità di comunicazione superiori e un sistema di rotazione dei validatori e degli utilizzatori della blockchain per garantire un ulteriore livello di sicurezza. Se tutto ciò ti sembrasse arabo: qua trovi la spiegazione del BFT e a breve troverai anche alcuni articoli che ti chiariranno cosa sono i meccanismi di consenso su blockchain. Articolo sul BFT Tokenomics. Le Tokenomics sono state rese pubbliche soltanto pochissimi giorni prima dei listing sui principali Exchange, il che è stato molto sospetto. Vediamole insieme. L’allocazione avviene come descritto dal grafico: 02% alla Community 19% ai Core Contributors 5% alla Aptos Foundation 48% agli Investitori Come vediamo da questo grafico invece, la supply iniziale è stata fissata a circa 1 miliardo di token $APT, è costantemente inflazionata e NON è fissa. Le staking reward, erogate per permettere al protocollo di funzionare tramite AptosBFT, il meccanismo di consenso proprietario di Aptos, sono fissate al 7% e annualmente si riducono dell’1,5% fino a raggiungere un minimo del 3,25%. Queste reward e riduzioni di APY vanno anche in base agli $APT messi in staking e alla performance del protocollo. Inoltre, le fee di transazione vengono attualmente burnate. In base a questi settaggi, la supply finale stimata fra 10 anni sarà poco più di 1,5mld di token $APT. Questi parametri possono essere modificati tramite on-chain governance. La distribuzione per i Core Contributors e gli Investitori è frazionata mensilmente e non erogabile fino al dodicesimo mese dall’uscita della Mainnet. Ti propongo, qui di seguito, se mastichi un po’ di inglese, un’analisi della tokenomics e una comparazione con i listing di $ICP (Internet Computer Protocol) e $GLMR (Moonbeam) fatta da un utente della community di Aptos. [pdf-embedder url=”http://oikono.org/wp-content/uploads/2022/11/Aptos-Tokenomics-Analysis.pdf” title=”Aptos Tokenomics Analysis”] Listing: com’è andata? La notte del 19/10 viene listato il token $APT su tutti i principali CEX. Schizza facendo numeri paurosi, poi in un minuto crolla. Così avviene in quasi tutti i listing. Qui però ci sono tanti motivi da additare al crollo, e questi potrebbero giustificare un ulteriore ribasso costante e duraturo sul token. Andiamoli a vedere insieme. NB: i prezzi di listing di partenza e i massimi raggiunti sono diversi per ogni Exchange. Qui prendiamo in considerazione il mercato SPOT di FTX [APT/USDT] Tokenomics inflattiva e tutto sommato non ponderata correttamente Movimenti attuali dati dalla FOMO Airdrop. Questi ultimi venivano dati a chi eseguiva dei task, come ad esempio partecipare alla Testnet. Essi sono stati tra i 150 e i 300 token per utente, una cifra considerevole che e’ stata subito venduta non appena ci sono stati i listing. Il suo probabile futuro. Questo ecosistema ha ricevuto ingenti somme di denaro per essere finanziato, questo è un probabile indicatore che qualcosa di innovativo c’è. Il tanto disappunto viene dalle tokenomics non all’altezza e dai TPS dichiarati abbastanza ridicoli. In ottica di fondamentali possiamo dire che ci possono essere miglioramenti, lo stesso PancakeSwap vuole approdare su Aptos, e come lui tanti alti progetti. Ha un competitor non da sottovalutare, Sui, anch’esso guidato da tanta FOMO. In ottica speculativa, non ci sono motivi per cui il prezzo debba crescere nei prossimi mesi. Essendo un token molto inflattivo, l’unica speranza di vederlo fare nuovi massimi e’ una bullrun, cosa che non accadra’ nei prossimi mesi sicuramente.