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Una guerra tutta italiana

Gli organi di potere in Italia, com’è noto, sono tre. Potere legislativo, attribuito al Parlamento, potere esecutivo che spetta al governo e il potere giudiziario, che viene gestito dalla magistratura in maniera completamente indipendente dall’esecutivo e dal legislativo. Con una facile analisi possiamo quindi identificare i due “mondi” che amministrano questi poteri, quello politico e quello della magistratura. Ecco che, uscendo dal manuale di diritto pubblico ed entrando nella realtà di tutti i giorni, ci si accorge che i rapporti tra il mondo politico e quello delle toghe tendono a essere più stridenti che sintonici. È di uso comune in ambito giornalistico riferirsi a questi scontri col termine “guerra”. Come sempre quindi, quando si parla di “guerra” il miglior modo per analizzarla è partire dagli albori, sviscerare gli eventi e comprendere così la storia e il fenomeno. Le prime crepe Servirebbe, ovviamente, un libro intero per produrre un’analisi completa di questo fenomeno dalla nascita della Repubblica a oggi. Per comodità, ritengo sia meglio partire dal momento in cui il “conflitto” è passato dal Transatlantico di Montecitorio ai televisori di tutti gli italiani, il 1992. Come già scritto nel precedente articolo, il 1992 è un anno di caos a livello politico e sociale, ma la data fondamentale per capire il fenomeno è il 17 febbraio 1992, quando il PM (Pubblico Ministero) Antonio Di Pietro, si presenta assieme ai carabinieri nell’ufficio di Mario Chiesa membro di caratura del PSI (Partito Socialista Italiano), il resto è storia. Quello che in questo caso mi interessa approfondire non è tanto il caso giudiziario in sé, quanto le reazioni di una e l’altra parte scaturite da questo evento. Il naturale campo di battaglia è la televisione divisa tra le dichiarazioni di PM ad un giovanissimo Paolo Brosio che, prima di avere visioni mistiche, faceva l’inviato per Emilio Fede (ex direttore tg4) e le dichiarazioni di Bettino Craxi (segretario PSI) che con frasi al limite del catastrofico, cercava di sollecitare l’opinione pubblica dalla sua parte, fino al triste “giorno delle monetine” quando il 30 aprile 1993 all’uscita del prestigioso Hotel Raphaël, Craxi non trova solidarietà bensì una folla di cittadini che al grido di :“vuoi pure queste, Bettino vuoi pure queste?” , lo “lapida” con delle monetine. Non è tanto interessante questa scena seppur iconica e storica, più interessante è la leggenda su chi da quell’hotel è uscito dal retro, “sua emittenza” Silvio Berlusconi. L’era Berlusconiana Silvio Berlusconi, non credo ci sia bisogno di presentazioni, ha stravolto per 20 anni la cultura e il concetto di politica in Italia. Una carriera politica nata sulle macerie della prima repubblica, con la promessa di legalità, ripresa economica, il nuovo “sogno italiano”. Quand’ecco all’orizzonte del 22 ottobre 1994, quel sogno tanto inseguito, viene divelto da un invito a comparire consegnato Silvio Berlusconi durante una conferenza ONU sulla criminalità organizzata, presieduta dallo stesso Berlusconi a Napoli. La Procura di Milano, invita a comparire il Presidente del Consiglio per chiedere chiarimenti su tangenti pagate ad agenti della Gdf nell’ambito di controlli fiscali alle sedi Mediaset. Questo sarà il primo tassello di uno scontro infinito tra il cavaliere e la magistratura italiana. La comunicazione del Cav da mani pulite fino al momento sopracitato, passando dalle lodi al pool di magistrati milanesi, ad alcune invettive che mi appresto ad elencare: “i magistrati sono antropologicamente diversi”, “c’è stato un accordo tra giudici per sovvertire il risultato delle elezioni”, “io vittima delle toghe rosse manovrate dalla sinistra”. Ecco, credo sia inutile sottolineare la gravità di queste dichiarazioni soprattutto se pronunciate dal Presidente del Consiglio, soprattutto se, il suddetto, è stato: colpevole di falsa testimonianza nel processo P2 nel settembre 1988, reato in seguito estinto con l’amnistia nel 1989, oppure accusato di aver pagato tangenti alla GdF per “alleggerire”  le verifiche a Mondadori, Mediolanum, Telepiù, condannato a 2 anni e 9 mesi in primo grado ma caduto in prescrizione in appello per attenuanti genere, ma se non dovesse bastare, aggiungo il coinvolgimento in una serie di processi per corruzione di alcuni giudici romani, in relazione al lodo Mondadori (diatriba legale tra Berlusconi, De Benedetti e eredi Mondadori per la cessione dell’azienda) e il caso Sme. Berlusconi ne esce illeso ma la corruzione sarà dimostrata con la condanna dell’avvocato del Cavaliere, Cesare Previti e del giudice Meta, in seguito il tribunale di milano condannerà Fininvest ad un risarcimento di 560 milioni di euro da pagare a De Benedetti. Le conseguenze di tutto questo marasma giudiziario, tra assoluzioni condanne, dichiarazioni al limite della costituzionalità, non hanno fatto altro che portare l’opinione pubblica ad una polarizzazione tra le due forze, spaccando il paese a metà, creando un’epidemia di “tifo da stadio” che arriva fino ai giorni nostri. Il punto più basso, tornando a noi, probabilmente viene toccato quando nel 27 maggio 2010 riguardo allo “scandalo Ruby”, la Camera dei Deputati si riunisce in seduta comune per deliberare se Ruby fosse o meno la nipote di Mubarak (ex presidente dell’Egitto), l’aula è così piena che alcuni candidati di spicco allora appartenenti a Forza Italia, Giorgia Meloni e Ignazio La Russa votano in piedi. Ecco che nella serata con 317 voti a favore, per il Parlamento italiano Ruby Rubacuori è la nipote di Mubarak. Si commenta da solo. Berlusconi, ha creato un genere giudiziario e legislativo tutto suo con l’introduzione nell’immaginario pubblico delle leggi AD PERSONAM, segue una carrellata: Decreto Biondi (1994), che vieta la custodia cautelare in carcere per i reati contro la Pubblica Amministrazione e reati finanziari, decreto approvato dal governo Berlusconi 1 in concomitanza delle indagini per corruzione di agenti della GdF comprendente 4 società appartenenti alla Fininvest. Tassa di successione (2001), il 28 giugno il governo Berlusconi 2 abolisce la tassa di successione per i patrimoni superiori a 350 mld di lire. Condono fiscale (2002), la “finanziaria” del 2003 che contiene il condono tombale. Mediaset pagando 35 milioni di euro, sana un’evasione fiscale di 197 milioni di euro secondo l’agenzia delle entrate. Potrei andare avanti per pagine, su quante siano le leggi di questo tipo c’è molta

FANTARCHEOLOGIA

Partecipando alle lezioni di metodologia della ricerca archeologica del dipartimento di Beni Culturali dell’università di Bologna, la prima questione sulla quale il professore si è focalizzato è stata quella di dimenticare tutto ciò che sapevamo (o pensavamo di sapere) sull’archeologia. Molti di noi, che di questa materia ne avevamo fatto il nostro obiettivo di vita, ci siamo un po’ preoccupati: in realtà, ciò che ci è stato raccontato dopo, non è stato così spaventoso né così surreale. I programmi televisivi, le riviste, i libri per bambini, i film, veicolano (tendenzialmente) lo stesso messaggio: l’archeologia è avventura, magia e mistero. Ecco perché, quando si racconta di voler far questo di mestiere, molte persone dicono “anche io da bambin* avevo questo sogno!”. Crescendo però, il numero di persone che vuole intraprendere questo percorso diminuisce pian piano, finché soltanto pochi superstiti si riuniranno un pomeriggio infrasettimanale davanti la macchinetta del caffè, parlando di quanta terra abbiano inghiottito durante gli scavi estivi o che tipo di ustione si siano presi. Eppure il mito per l’archeologia rimane, tra bambini e adulti che sono al di fuori di questo mondo: come mai? Proprio per i mezzi di comunicazione sopracitati: tutto ci parla di un’archeologia fantastica, fatta di oro, maledizioni, fughe e di un gran coraggio. È davvero così? Ovviamente no: L’archeologia è una disciplina a metà tra le scienze dure e le materie umanistiche. Richiede dunque studio e impegno, oltre che una forte resistenza fisica e mentale a molte ore di lavoro in condizioni climatiche intense. Fu la scoperta da parte di Howard Carter e la sua squadra della tomba del faraone Tutankhamon che secondo molti causò quella che viene definita “perdita dell’innocenza” dell’archeologia, ovvero una concezione distorta del ruolo dell’archeologo e della sua ricerca: infatti dopo la sensazionale scoperta, iniziò a diffondersi l’idea che il ritrovamento della tomba dell’antico faraone abbia maledetto tutta l’equipe di studiosi (poiché molti persero la vita più o meno nello stesso periodo, ma si trattò, ovviamente, di una semplice coincidenza). Secondo la cultura pop del ‘900 dunque, questo mestiere riporterebbe alla luce reperti maledetti, magici, divini o alieni (secondo molti le piramidi furono costruite da civiltà extraterrestri!). Queste concezioni rientrano nel termine di “fantarcheologia”, un’archeologia dunque legata al fantastico e al surreale. Ovviamente la “fantarcheologia” fu ampiamente commercializzata: tramite videogiochi, pubblicità, programmi televisivi, oggetti di qualsiasi tipo. Questi articoli furono, e sono ancora oggi, venduti a caro prezzo, e si possono trovare ovunque, su internet, nei negozi turistici, negli shop dei musei. Le stesse città che ospitano determinate scoperte incentivano un business enorme che va di pari passo con il fenomeno del capitalismo sfrenato, insieme a quello della ridicolizzazione ed estremizzazione dell’archeologia. Un’impronta altrettanto decisiva la lasciarono i film, come La Mummia, Indiana Jones, Lara Croft, e così via. Ricordo l’entusiasmo che avevo da bambina nel vedere le fantastiche avventure di questi personaggi, che accrebbero sempre di più (inconsciamente) la mia curiosità. E io stessa (lo ammetto) ho in casa una collezione abbastanza ampia di libri e oggetti non proprio in linea con ciò che l’archeologia sia realmente. Altro aspetto importante da sottolineare, sta nel fatto che c’è un legame veramente profondo tra discipline storico – archeologiche e “costruzione identitaria”. I tentativi di revisionismo storico non sono così pochi; e le implicazioni geopolitiche a cui essi portano non sono da sottovalutare. Quando si parla di “riconquista dell’identità” per una maggiore consapevolezza del vivere civile, i programmi politici, al di là di qualche circoscritta azione di valorizzazione, non mettono in campo risorse adeguate. Quando l’archeologia però potrebbe essere impiegata come mezzo di propaganda politica o strategie militari, allora diventa la protagonista indiscussa. Il collegamento con il fascismo è lampante: il termine stesso deriverebbe dai fasci littori, utilizzati dai consoli e dai littori per irrogare la pena capitale per decapitazione. Simbolo spesso utilizzato era quello dell’Aquila, che nella Roma antica era simbolo del potere imperiale. La romanità del passato crea dunque le basi di questa ideologia (anche se dobbiamo sempre ricordare che fenomeni di questa portata non hanno origine univoca). Sicuramente ci sono infatti altri contesti di riferimento entro i quali inserire la nascita del fascismo, ma l’archeologia è uno dei denominatori comuni più importanti. Non solo: sempre negli anni della seconda guerra mondiale, sia gli Alleati che l’Asse, hanno sfruttato le conoscenze archeologiche per individuare siti strategici o recuperare artefatti che potessero avere un valore politico o militare. Ci sono casi in cui gli agenti segreti hanno operato sotto copertura come archeologici per accedere a determinate aree o informazioni sensibili. Ad esempio il regime nazista utilizzò il reparto di archeologia militare per cercare antichi manufatti in territori occupati, come la Francia, che avessero un potenziale valore propagandistico o politico. I nazisti cercavano infatti di dimostrare la superiorità della cultura tedesca appropriandosi di manufatti culturali di altri paesi. Inoltre, la confiscazione di queste opere avrebbe potuto privare i paesi occupati dei loro simboli culturali e identitari, indebolendoli e rafforzando il controllo nazista. I servizi segreti tedeschi inoltre miravano a sfruttare conoscenze archeologiche per individuare risorse strategiche nei territori occupati.  Allo stesso modo gli Alleati utilizzarono esperti archeologhi per valutare i danni ai monumenti storici durante i bombardamenti e per individuare potenziali nascondigli dietro rovine antiche. Con l’operazione “Mincemeat”, i segreti britannici utilizzarono un cadavere e documenti falsi per ingannare le forze dell’Asse sulle intenzioni degli Alleati riguardo lo sbarco in Sicilia, dimostrando come lo spionaggio possa essere utilizzato all’interno di contesti storici e archeologici.  La questione è sempre quella: l’informazione viene manipolata. L’idea dell’archeologia è dunque spesso stata distorta, per interessi molto vari. Chi fa parte di questo ambiente ha un potere molto forte e l’attenzione nella corretta informazione e divulgazione deve essere massima. Il fenomeno delle “fake news” sembra recente ma non lo è: la manipolazione storica/archeologica è sempre esistita. Oggi però, al contrario delle epoche passate, abbiamo molti più mezzi per analizzare le informazioni che ogni giorno ci vengono propinate. La soluzione per evitare di incorrere in un’archeologia falsa o fantastica risiede in una sana curiosità basata sulla validità