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Dalla patria dell’arancino a Ravenna per studiare Beni Culturali.

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Giulia Parisi

I miei progetti:

Da novembre 2022 collaboro con il consulente finanziario Mirko Tessari per la realizzazione di articoli per il suo blog.

Link agli articoli scritti in collaborazione:

 

Da giugno 2023 collaboro con la pagina Ragionamenti Finanziari per la realizzazione dei contenuti.

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Condivido il mio percorso per prendere la certificazione IFTA I e II.

Trovi tutti i riassunti, i miei appunti e bigini nella sezione oikonopedia.

I miei articoli:

Economia e Finanza

HAI VOGLIA DI HAMBURGER O SEI SOLO NOSTALGICO DEL PASSATO?

Ripensando agli anni della scuola materna, la mia mente viene avvolta da fotogrammi sereni: un cortile colmo di bambini sorridenti, il parco giochi in cui mi sono ritrovata con i miei amici fino a quando siamo diventati troppo alti per salire sulle altalene, le verdure raccolte dall’orto che coltivavamo in giardino… Qualche giorno fa, però, ho casualmente accennato questo discorso con mia madre e con mia grande sorpresa lei mi ha ricordato che a quei tempi per me il mondo non era tutto rose e fiori: ogni mattina prima di salire sul pullman diretto verso l’asilo si susseguivano lacrime e richieste di rimanere a casa. Sembrava quindi che il mio cervello avesse conservato una visione distorta di quel periodo, ponendo una maggiore enfasi sui ricordi positivi ed erodendo lentamente quelli meno piacevoli. Anche a te sarà successo almeno una volta di ripensare al passato in maniera nostalgica; accade un po’ a tutti. Basta pensare ai nonni e alla loro frase ricorrente “ai miei tempi si stava meglio” o al celebre film di Woody Allen intitolato Midnight in Paris, nel quale il protagonista Gil Pender afferma che “… La nostalgia è negazione, negazione di un presente infelice. E il nome di questo falso pensiero è: sindrome epoca d’oro, cioè l’idea errata che un diverso periodo storico sia migliore di quello in cui viviamo. Vedete, è un difetto dell’immaginario romantico di certe persone che trovano difficile cavarsela nel presente …” .1 Il neuromarketing L’argomento su cui vorrei focalizzarmi riguarda la campagna pubblicitaria messa in atto pochi mesi fa da Mc Donald’s in 100 diverse nazioni, dal nome “As Featured In”. La catena di fast food ha infatti reso disponibile un menù speciale composto da alimenti emblematici di Mc Donald’s apparsi in film, canzoni e serie tv che ormai fanno parte a pieno titolo della pop culture, tra cui la serie tv The Office (“Michael Scott loves Filet-O- Fish”), il film di fantascienza Fifth Element, l’iconico dialogo tra Vincent Vaga e Jules Winnfield in Pulp Fiction, scene di Loki, Friends, Fast and Furious, Coming to America, Space Jam e molti altri. Ma cos’hanno in comune la mossa pubblicitaria di Mc Donald’s, i miei pianti all’asilo, i ricordi di mio nonno e un intenso monologo cinematografico? Semplice: il sentimento della nostalgia, o più precisamente il cosiddetto bias della nostalgia o retrospettiva rosea. Si tratta di un fenomeno psicologico per cui le persone tendono a giudicare il passato in modo più roseo di quanto giudichino il presente (o come avrebbero detto i nostri antenati latini, memoria praeteritorum bonorum)2. Perché il nostro sistema nervoso mette in atto questo bias cognitivo? Probabilmente perché la semplificazione dei ricordi implica la necessità di una minore quantità di connessioni neurali per immagazzinarli e recuperarli al momento opportuno. Così come in un computer vengono rimossi i dati superflui per evitare di occupare memoria inutilmente, allo stesso modo agisce la nostra mente. Ma il motivo di ciò non è esclusivamente fisiologico: esiste anche una ragione legata al benesserepsicologico. In un mondo in continua e rapida evoluzione, ogni certezza sembra scivolare tra le mani come sabbia, ed è inevitabile che si crei un sentimento di angoscia dovuto all’impossibilità di ancorarsi a qualcosa che rimanga così com’è. Internet, social networks, intelligenza artificiale, sono solo alcune delle rivoluzioni tecnologiche che hanno permeato la società negli scorsi decenni, stravolgendo il modo di vivere ormai consolidato dei nostri predecessori. A un presente incerto e tentennante, la mente umana controbatte con la propensione a rifugiarsi in sentimenti, sensazioni ed esperienze già vissuti, in modo da ricevere una confortante rassicurazione, anche a costo di manipolare i ricordi stessi. I Bias Avendo introdotto le motivazioni psicofisiche di questo fenomeno, posso ora concentrarmi sull’obiettivo della mia analisi: esplorare questo esempio di neuromarketing (disciplina volta all’individuazione di canali di comunicazione diretti ai processi decisionali d’acquisto, mediante l’utilizzo di metodologie legate alle neuroscienze 3 ), analizzandone le caratteristiche e l’effetto sui consumatori. Come vedremo, quella attuata da Mc Donald’s si rivelerà una strategia efficiente (e no, non è uno spoiler, in quanto bisognerebbe vivere in una grotta isolata per non accorgersi del fatto che questa azienda ha costruito un vero e proprio impero partendo da zero). “Due minuti // La strada prima che sia troppo tardi per cambiare idea”. I fan più accaniti avranno riconosciuto il testo di una canzone di Calcutta, nella quale sono sufficienti due minuti per cambiare lo stato d’animo del narratore. Ecco, per quanto riguarda la nostra vita quotidiana, è stato studiato che in media ciascuno di noi impiega non due minuti, bensì solo due secondi per giudicare una scelta di acquisto; è perciò fondamentale per il venditore saper sfruttare bene lo scarso tempo che ha a disposizione per imprimersi in modo eternamente positivo nell’immaginario del consumatore. Senza dubbio fare ciò non è semplice, tuttavia esiste un trucco che può agevolare questo processo: sfruttare i bias cognitivi. Di cosa si tratta? Nell’intricata selva oscura di tutte le possibili scelte quotidiane, il nostro cervello svolge il ruolo di Virgilio nella selva oscura dantesca, dovendoci guidare senza esitazione verso la metaforica uscita, ossia verso la decisione finale. A differenza di Virgilio, però, la nostra guida non è invulnerabile: può essere influenzata e guidata verso direzioni differenti. Tali influenze, note come bias cognitivi, sono in grado di plasmare le nostre opinioni senza che noi ce ne accorgiamo, e questo rappresenta un notevole punto di forza per il neuromarketing. I bias sono deviazioni sistematiche dalla realtà oggettiva, che rendono il processo decisionale vulnerabile a distorsioni e pregiudizi inconsapevoli. La chiave di questo stratagemma (che è lo stesso adottato da Mc Donald’s) risiede nella capacità di connettere in modo indissolubile i propri prodotti agli stati emotivi positivi associati a periodi di vita passata. Il neuromarketing pertanto propone un vero e proprio viaggio nel tempo, che catapulta il consumatore in un’oasi di nostalgia. Ovviamente, questo viaggio è condensato in meno di due secondi! Questa strategia di marketing si rivela essere un approccio intelligente ed efficace per fidelizzare il consumatore, innescando in lui una risposta

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Storia

FANTARCHEOLOGIA

Partecipando alle lezioni di metodologia della ricerca archeologica del dipartimento di Beni Culturali dell’università di Bologna, la prima questione sulla quale il professore si è focalizzato è stata quella di dimenticare tutto ciò che sapevamo (o pensavamo di sapere) sull’archeologia. Molti di noi, che di questa materia ne avevamo fatto il nostro obiettivo di vita, ci siamo un po’ preoccupati: in realtà, ciò che ci è stato raccontato dopo, non è stato così spaventoso né così surreale. I programmi televisivi, le riviste, i libri per bambini, i film, veicolano (tendenzialmente) lo stesso messaggio: l’archeologia è avventura, magia e mistero. Ecco perché, quando si racconta di voler far questo di mestiere, molte persone dicono “anche io da bambin* avevo questo sogno!”. Crescendo però, il numero di persone che vuole intraprendere questo percorso diminuisce pian piano, finché soltanto pochi superstiti si riuniranno un pomeriggio infrasettimanale davanti la macchinetta del caffè, parlando di quanta terra abbiano inghiottito durante gli scavi estivi o che tipo di ustione si siano presi. Eppure il mito per l’archeologia rimane, tra bambini e adulti che sono al di fuori di questo mondo: come mai? Proprio per i mezzi di comunicazione sopracitati: tutto ci parla di un’archeologia fantastica, fatta di oro, maledizioni, fughe e di un gran coraggio. È davvero così? Ovviamente no: L’archeologia è una disciplina a metà tra le scienze dure e le materie umanistiche. Richiede dunque studio e impegno, oltre che una forte resistenza fisica e mentale a molte ore di lavoro in condizioni climatiche intense. Fu la scoperta da parte di Howard Carter e la sua squadra della tomba del faraone Tutankhamon che secondo molti causò quella che viene definita “perdita dell’innocenza” dell’archeologia, ovvero una concezione distorta del ruolo dell’archeologo e della sua ricerca: infatti dopo la sensazionale scoperta, iniziò a diffondersi l’idea che il ritrovamento della tomba dell’antico faraone abbia maledetto tutta l’equipe di studiosi (poiché molti persero la vita più o meno nello stesso periodo, ma si trattò, ovviamente, di una semplice coincidenza). Secondo la cultura pop del ‘900 dunque, questo mestiere riporterebbe alla luce reperti maledetti, magici, divini o alieni (secondo molti le piramidi furono costruite da civiltà extraterrestri!). Queste concezioni rientrano nel termine di “fantarcheologia”, un’archeologia dunque legata al fantastico e al surreale. Ovviamente la “fantarcheologia” fu ampiamente commercializzata: tramite videogiochi, pubblicità, programmi televisivi, oggetti di qualsiasi tipo. Questi articoli furono, e sono ancora oggi, venduti a caro prezzo, e si possono trovare ovunque, su internet, nei negozi turistici, negli shop dei musei. Le stesse città che ospitano determinate scoperte incentivano un business enorme che va di pari passo con il fenomeno del capitalismo sfrenato, insieme a quello della ridicolizzazione ed estremizzazione dell’archeologia. Un’impronta altrettanto decisiva la lasciarono i film, come La Mummia, Indiana Jones, Lara Croft, e così via. Ricordo l’entusiasmo che avevo da bambina nel vedere le fantastiche avventure di questi personaggi, che accrebbero sempre di più (inconsciamente) la mia curiosità. E io stessa (lo ammetto) ho in casa una collezione abbastanza ampia di libri e oggetti non proprio in linea con ciò che l’archeologia sia realmente. Altro aspetto importante da sottolineare, sta nel fatto che c’è un legame veramente profondo tra discipline storico – archeologiche e “costruzione identitaria”. I tentativi di revisionismo storico non sono così pochi; e le implicazioni geopolitiche a cui essi portano non sono da sottovalutare. Quando si parla di “riconquista dell’identità” per una maggiore consapevolezza del vivere civile, i programmi politici, al di là di qualche circoscritta azione di valorizzazione, non mettono in campo risorse adeguate. Quando l’archeologia però potrebbe essere impiegata come mezzo di propaganda politica o strategie militari, allora diventa la protagonista indiscussa. Il collegamento con il fascismo è lampante: il termine stesso deriverebbe dai fasci littori, utilizzati dai consoli e dai littori per irrogare la pena capitale per decapitazione. Simbolo spesso utilizzato era quello dell’Aquila, che nella Roma antica era simbolo del potere imperiale. La romanità del passato crea dunque le basi di questa ideologia (anche se dobbiamo sempre ricordare che fenomeni di questa portata non hanno origine univoca). Sicuramente ci sono infatti altri contesti di riferimento entro i quali inserire la nascita del fascismo, ma l’archeologia è uno dei denominatori comuni più importanti. Non solo: sempre negli anni della seconda guerra mondiale, sia gli Alleati che l’Asse, hanno sfruttato le conoscenze archeologiche per individuare siti strategici o recuperare artefatti che potessero avere un valore politico o militare. Ci sono casi in cui gli agenti segreti hanno operato sotto copertura come archeologici per accedere a determinate aree o informazioni sensibili. Ad esempio il regime nazista utilizzò il reparto di archeologia militare per cercare antichi manufatti in territori occupati, come la Francia, che avessero un potenziale valore propagandistico o politico. I nazisti cercavano infatti di dimostrare la superiorità della cultura tedesca appropriandosi di manufatti culturali di altri paesi. Inoltre, la confiscazione di queste opere avrebbe potuto privare i paesi occupati dei loro simboli culturali e identitari, indebolendoli e rafforzando il controllo nazista. I servizi segreti tedeschi inoltre miravano a sfruttare conoscenze archeologiche per individuare risorse strategiche nei territori occupati.  Allo stesso modo gli Alleati utilizzarono esperti archeologhi per valutare i danni ai monumenti storici durante i bombardamenti e per individuare potenziali nascondigli dietro rovine antiche. Con l’operazione “Mincemeat”, i segreti britannici utilizzarono un cadavere e documenti falsi per ingannare le forze dell’Asse sulle intenzioni degli Alleati riguardo lo sbarco in Sicilia, dimostrando come lo spionaggio possa essere utilizzato all’interno di contesti storici e archeologici.  La questione è sempre quella: l’informazione viene manipolata. L’idea dell’archeologia è dunque spesso stata distorta, per interessi molto vari. Chi fa parte di questo ambiente ha un potere molto forte e l’attenzione nella corretta informazione e divulgazione deve essere massima. Il fenomeno delle “fake news” sembra recente ma non lo è: la manipolazione storica/archeologica è sempre esistita. Oggi però, al contrario delle epoche passate, abbiamo molti più mezzi per analizzare le informazioni che ogni giorno ci vengono propinate. La soluzione per evitare di incorrere in un’archeologia falsa o fantastica risiede in una sana curiosità basata sulla validità

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